L’intreccio umano diventa il ricamo di Dio

Omelia nelle esequie di don Andrea Tison
29-08-2022

1Cor 1,1-9; Sal 144; Mt 24,42-51

«Egli vi renderà saldi fino sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo». Giovedì 25 agosto, mentre nella Liturgia del giorno si proclamavano queste parole dell’apostolo Paolo, don Andrea repentinamente giungeva alla sua fine. Fino a qualche giorno prima era parso “saldo”, come sempre lo era stato. La comunità di San Gervasio, la sorella con i familiari, i confratelli nel ministero, il vescovo Giuseppe, noi tutti non immaginavamo che lui fosse ormai giunto «irreprensibile nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo».

Prima che la situazione della sua salute diventasse così precaria da non permettergli di continuare la quotidianità del suo ministero, don Andrea aveva fatto tutto quello che il servizio pastorale richiedeva. Non aveva tralasciato nulla.

Nelle ultime settimane più volte lo incontrai. C’era la preoccupazione per una certa stanchezza che lui avvertiva, ma gli risultava ingiustificato non adempiere a tutto quanto il servizio pastorale. Nella penultima visita, mi parlò molto della montagna, di come lui la sentiva, delle sue camminate che gli avevano sempre apportato beneficio, mi raccontò addirittura di alcune arrampicate che aveva potuto fare da giovane. Alcuni tratti della sua personalità sembravano identificarsi con la roccia dolomitica. E ancora confidava che in montagna avrebbe riacquistato le energie che da un po’ di tempo sentiva venir meno. Mi diceva che avrebbe programmato delle camminate ancora. L’avrebbe fatto passato il gran caldo della piena estate. Conosceva i tratti deboli della sua salute, ma non esitava a dedicarsi a tutti gli impegni pastorali. La convinzione del ministero da svolgere ancora era tenace.

La parabola di Gesù con cui è stata accolta e avvolta la vita di don Andrea ha certamente immesso questo “servo fidato” nella beatitudine che solo il Signore sa dare:

«Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni».

Ma in questa stessa parola ravvisiamo anche la fragilità e il limite con cui il nostro operare umano deve misurarsi e deve accettarsi, fino al dono di lasciare, di abbandonare per amore. Mi ha molto commosso il pianto di don Andrea quando, nell’ultima mia visita all’ospedale, con accanto la sorella, aveva nel cuore e nel pensiero la comunità parrocchiale e il ministero ancora da svolgere. Io l’assicuravo della vicinanza nella preghiera da parte della comunità e lo incoraggiavo ad accogliere questa prossimità di cura e di preghiera. Ma fu come se avesse la percezione dell’estremo atto d’amore che la situazione di malattia gli offriva. Ho riconosciuto lì il suo affetto, le sue premure, la consapevolezza dell’inadempiuto, le sue scuse, le parole e i gesti di ministero rimasti sospesi.

Ci ha detto Gesù: «Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Noi vorremmo sussurrare al “Figlio dell’uomo” che “l’ora che non immaginiamo” è l’ora della sua misericordia, l’ora della sua tenerezza, in cui in un abbraccio di amore intramontabile, Lui possa rassicurarci con le parole di Vita che sono sgorgate dalla sua croce: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43).

In questi giorni in cui ci stiamo predisponendo per il pellegrinaggio di beatificazione di Giovanni Paolo I, proviamo tristezza e amarezza per questa dipartita da noi di don Andrea. Noi vogliamo custodire con immenso rispetto e con filiale fiducia questo intrecciarsi di eventi che non possiamo pienamente comprendere. Pur nella fatica di parlare non appena io ero giunto presso il suo letto, don Andrea aveva ripetuto: «Andate a Roma». Non so se fosse una domanda sulla nostra preparazione o una constatazione della vicinanza dell’evento. In realtà attendeva questo dono della beatificazione di Albino Luciani e trepidava per esso. Di don Albino, don Andrea custodiva le vicende vissute nel suo ministero a Canale d’Agordo, in particolare con la inaspettata visita di San Giovanni Paolo II che bussò alla porta della canonica di Canale. Tutto questo ci sollecita in questi giorni ad entrare nello sguardo “alto” e “amante” di Dio.

Sì, il Signore della Vita sta ricomponendo le nostre storie, anche quelle che non conosciamo. L’intreccio umano diventa il ricamo di Dio, il poco che sappiamo essere e fare diventa meraviglia di Dio, anche le nostre infedeltà addobbano la storia di salvezza, frutto della fedeltà di Dio. Quanto abbiamo ascoltato ieri nella lettera agli Ebrei lo vogliamo con riconoscenza riconoscere della vita, nella fede, nel ministero del nostro caro don Andrea:

«Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova» (Eb 12,22-24a).