Questa “partenza” ci lascia più soli

Saluto alle suore dell'Istituto Sperti - 22ª domenica del tempo ordinario
28-08-2022

Sir 3,19-21.30-31; Sl 67; Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14,1.7-14

In questa Eucaristia domenicale, in Cattedrale – che si presenta con un cantiere aperto nella zona presbiterale – intendiamo manifestare gratitudine alle “nostre” suore dello Sperti. Salutiamo con cordialità le suore che oggi sono ritornate a Belluno. Il nostro saluto è particolare perché da lunghi anni le suore sono state come un tessuto ecclesiale e sociale di ammirevole valore. Do anche il benvenuto al sindaco di Belluno, Oscar. Qui in Città sono stati particolarmente intensi la presenza, la testimonianza, il servizio di queste nostre suore.

Sono tanti i sentimenti che ci attraversano l’animo. Non nascondiamo che questa “partenza” ci lascia più soli. Come in famiglia quando dei figli partono: ci sono delle motivazioni, ma il distacco fisico è affettivamente percepito e vissuto come un “lasciare” e, dunque, un perdere una preziosa presenza.

Ma in tutto questo l’Eucaristia che celebriamo è la motivazione più profonda e più vitale da riconoscere e vivere in questo momento. Sgorga da essa un’infinita ricchezza di gratitudine. Mi piace per questo riprendere il salmo 67 appena pregato:

«Pioggia abbondante hai riversato o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio».

Questa preghiera le nostre suore di carità – o, come, siamo soliti chiamarle: “di Maria Bambina” – l’hanno vissuta tra noi, l’hanno donata e condivisa nella loro presenza discreta ma penetrante, nella loro testimonianza evangelica, nel loro qualificato servizio formativo e di cura.

La Parola di Dio e del Signore che abbiamo proclamato e ascoltato illumina ora questi nostri passi, anche quelli della vostra partenza, care suore.

Mi viene spontaneo attingere – pur nel contesto difficile e faticoso che stiamo vivendo nel nostro territorio e tra le nostre comunità – dalla visione trasfigurata che la lettera agli Ebrei, nella sua parte finale, ci mette dinanzi: «Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore della nuova alleanza».

Questa visione profetica ci offre uno sguardo nuovo, alternativo, su ciò che in profondità e nel mistero sta avvenendo a noi tutti.

È coraggiosa questa espressione «assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli». Qui in questa Eucaristia siamo invitati a guardarci e riconoscerci così. Da questa sorgente tutta la vita delle nostre comunità – pur nella fatica del loro camminare – riceve ristoro, energia, luce, pace, salvezza…

Il versetto dell’Alleluia che abbiamo cantato ci riporta a Lui, a Gesù, il «mediatore dell’alleanza nuova», come lo definisce la lettera agli Ebrei: «Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29).

L’evangelista Luca ci ha raccontato del sabato in cui Gesù – nel suo viaggio verso Gerusalemme con i suoi discepoli e un gruppo di donne – è ospitato in casa di uno dei capi dei farisei. Luca raccoglie da Gesù due sue parabole. Come aveva fatto con la parabola del Samaritano, Gesù innanzitutto manifesta se stesso, narra in parabola ciò che lui sta vivendo. Ed ecco qui due atteggiamenti e due scelte di vita che va compiendo e che saranno manifesti proprio nel culmine della crocifissione, nella città santa di Gerusalemme.

Ciò che Gesù ha vissuto e fatto per noi ci riguarda. Egli stesso ci interpella. La sua vita ci parla. Il suo sentire ci è comunicato: ricordiamo Paolo che ai Filippesi dice di assumere gli stessi sentimenti di Gesù. Nelle due parabole Gesù concretizza per noi ciò che lui fa fatto per noi.

1. Ci invita a liberarci e guarire dal vizio di primeggiare e di occupare posti che dicono autorevolezza e onore. Egli ci dice di delimitare le nostre dimensioni in rapporto agli altri, che devono diventare fratelli e sorelle a cui voler bene e da servire. Le parole di Gesù che Luca colloca durante l’ultima cena hanno esattamente questo tenore: «Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,26-27).

2. Nella seconda parabola Gesù proclama una beatitudine che raccoglie tutta la sua vita e la sua missione: Egli ci ha amati unilateralmente nel nostro peccato e nella nostra inimicizia. Si tratta della gioia di amare in pura perdita, nella coscienza che l’amore basta all’amore e che è ricompensa per chi ama. È la beatitudine di chi è libero dalla paura di perdere qualcosa amando, di chi ripone tutta la sua fiducia in Dio, donandosi interamente in ciò che vive e che compie.

Anche voi, care suore, avete condiviso con noi queste parabole di vita di Gesù, sulle sue orme. Grazie!