…ma Lui non l’hanno visto

Omelia nella Pasqua – Cattedrale di Belluno
21-04-2019

At 10,34a.37-43; Sl 117(118) ; Col 3,1-4; Lc 24,13-35

La Liturgia odierna ci ha offerto nella prima lettura, presa dagli Atti degli Apostoli, il racconto dell’annuncio che Pietro fa al centurione Cornelio che l’aveva cercato e mandato a chiamare. Siamo a Cesarea, fuori Gerusalemme, qualche tempo dopo i fatti che ci racconta il Vangelo appena proclamato.

La seconda lettura è molto posteriore, sono trascorsi più di dieci anni dagli eventi raccontati.

Oggi la Liturgia, invece, nella sera del primo giorno della settimana, dopo la sepoltura del corpo di Gesù, ci pone in cammino. Al mattino che cosa è successo? L’evangelista Luca lo ha ricordato. Sembra una cronaca impeccabile: «22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Appare abbastanza pesante e delusa la narrazione che i due discepoli incamminati ad Emmaus offrono. Il gruppo di donne non aveva trovato il corpo di Gesù che cercavano. Alcuni dei discepoli per accertarsi sono andati al sepolcro, «ma lui non l’hanno visto».

Sappiamo da Luca stesso che l’informazione delle donne provocò una certa reazione negli apostoli: le loro parole parvero «come un vaneggiamento».

Comprendiamo, allora, che l’evangelista Luca – forse ripensando alla propria esperienza di conoscenza di Gesù maturata a partire dalla testimonianza viva di chi invece era stato testimone oculare – intenda coinvolgerci nella strada di un nuovo incontro con Gesù.

I due discepoli che se ne vanno ad Emmaus hanno il volto triste, sono impediti a cogliere la novità di quello sconosciuto che si affianca a loro e li sorprende nella loro lentezza di cuore.

Siamo sinceri: è la condizione in cui spesso possiamo riconoscerci anche noi. Spesso nelle nostre comunità, nei rapporti vicendevoli si possono cogliere atteggiamenti, gesti, parole molto simili. Oggi chi ci vede e ci incontra potrebbe chiedersi: ma i discepoli di Gesù come credono alle parole di vita loro affidate? Il Vangelo sta nel loro cuore? Nel loro sguardo? In ciò che pensano e, dunque, in ciò che dicono e in ciò che cercano di fare?

Guardiamoci attorno: nessuno di noi vive di rendita. Ogni giorno il vivere è un nuovo appello. Ma questo anche nella nostra esperienza di fede. Celebrare ogni anno la Pasqua nella memoria viva degli eventi di tradimento, di abbandono, di condanna a morte di Gesù per giungere poi al nuovo giorno e ripartire: tutto questo è il cammino dei due discepoli di Emmaus. Ogni anno, come in ogni stagione della nostra vita, è decisivo rimettersi sulla strada e permettere a lui, dapprima sconosciuto e poi riconosciuto nei segni d’amore che ci ha lasciato, di affiancarci.

Ma oggi come siamo avvicinati da Lui?

Mi hanno colpito questo commento che propongo a voi, preso oggi da un quotidiano. Il riferimento è a quanto vissuto nei giorni scorsi come «un brivido non effimero di commozione nell’intera comunità, credenti e non credenti. Come fosse un riflesso della nostra condizione di orfani».

Ed ecco le parole che mi colpiscono: «Una cattedrale possiamo ricostruirla, e lo faremo di certo. Ma la domanda è un’altra. Saremo capaci di abitarla come un luogo dove i legami d’amore, la cui giustizia resiste anche alla morte, non sono parole vuote? Saremo capaci di irradiarne spiriti vitali per la comunità, per restituire gli orfani di Dio alla commozione di una fraternità ritrovata, ostinata, pacificata culturalmente con sé stessa? Questa Pasqua deve segnare l’inizio di una guarigione collettiva del nostro cuore che è diventato diffidente nei confronti di Dio, e dissolvere i fantasmi di una mente collettiva demoralizzata, che non crede più nel miracolo della nascita» (Pierangelo Sequeri, in Avvenire, 21-04-19).

Tornando al racconto del cammino verso Emmaus, mi sembra che i due discepoli abbiano accolto questa guarigione collettiva del cuore. Per questo, dopo quello spezzare il pane da parte del Risorto, «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto!».