Nella gioia del Vangelo

Assemblea diocesana, anno pastorale 2016-2017
06-11-2016

Ho chiesto ai nostri tecnici che introducessero questo mio intervento con le immagini del Sinodo diocesano, conclusosi proprio 10 anni fa.

Noi oggi siamo qui in forza di quell’evento e di quel cammino. Come in ciascuno di noi la nostra giovinezza è tutta quanta dentro l’attuale nostra stagione adulta di vita, così quell’esperienza è dentro il nostro odierno essere Chiesa. A nessun grande evento ecclesiale è successo di essere recepito immediatamente dopo la sua celebrazione. C’è una laboriosa gestazione che permette di cogliere successivamente il frutto di un seme rimasto per un tempo nascosto tra le zolle del terreno, mentre solo intimamente iniziava il processo di maturazione.

Comincio dicendovi il mio stupore. Due incontri avvenuti in questi primi giorni di novembre mi hanno sorpreso riempendomi di meraviglia. Ho potuto incontrare due gruppi di giovani in due punti diversi del territorio della Diocesi. Insomma una quarantina di giovani che nel contesto delle loro piccole parrocchie si ritrovano insieme. Nessun miracolo, nessun fenomeno eccezionale, nessuna attrazione estrema li ha captati, convocati e messi insieme. Erano semplicemente in parrocchia come se fosse la loro casa, il luogo familiare del loro ritrovarsi. Mi hanno detto che sentono il bisogno di essere uniti, di allacciare legami tra di loro. Non solo: mi hanno raccontato che fanno delle iniziative per tenere vive le loro comunità.

Perché il mio stupore? Semplicemente perché ovunque mi sento dire che i giovani se ne sono andati via… che non ce ne sono… che a loro importa poco restare qui…

Queste lamentele non ci aiutano a scorgere e riconoscere i segni di una vita in gestazione che sono attorno a noi, in mezzo a noi, tra le nostre stesse comunità.

Ricordate il richiamo di Gesù? «Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?» [Mt 16,3].

Ringrazio quanti poco fa ci hanno raccontato lo spuntare, il germogliare, il crescere di alcuni semi di futuro della nostra Chiesa.

Luca, presidente diocesano dell’Azione cattolica, ci ha narrato come la vita associativa si interroga, ricerca, intende essere significativa sul territorio, si apre alla “gioia del Vangelo”.

Federica, Nicola e Andrea ci hanno descritto l’esperienza che hanno condiviso con un milione e trecento giovani di ogni parte del mondo a Cracovia nella GMG. L’hanno vissuta con un coinvolgimento che ha sorpreso noi adulti. Non è vero – come stupidamente si tende a dire – che non ci sono più giovani che cercano, coltivano, perseguono valori. In realtà loro stanno ribaltando certi valori dissanguati del nostro passato. Ne hanno intravisto altri verso cui c’è ancora troppa indifferenza e distanza nel mondo degli adulti.

Ci hanno chiesto fiducia e fantasia. Saremo all’altezza di questa richiesta? Lo saranno le nostre comunità?

Andrea ci ha raccontato della sua scelta di fare l’esperienza del seminario. Con lui ci sono Enrico di Cusighe e Sandro di Caviola. Vorrei che cogliessimo il “segno dei tempi” che si è presentato quest’anno: la condivisione con le diocesi di Trento e di Bolzano-Bressanone di questa esperienza formativa. Abbiamo estremo bisogno di non isolarci come Chiesa e di cercare nuove vie di condivisione.

In questo senso ci hanno incoraggiato Elena e Annamaria. Ci hanno raccontato come le loro due parrocchie – Borca e S. Vito di Cadore – stanno apprendendo l’arte dell’aiutarsi e sollecitarsi a vicenda. Il passaggio verso un Consiglio pastorale unitario dice una possibilità di fraternità aperta al futuro. In tale “segno dei tempi” dovremmo presto riprendere il confronto, il discernimento, il coraggio di testimoniare il vangelo di Gesù e la gioia di esserne discepoli oggi.

Di 158 comunità parrocchiali che formano la nostra Chiesa di Belluno-Feltre, sono riuscito ad incontrarne finora 77, nella modalità ordinaria che conoscete: la celebrazione feriale dell’Eucaristia e l’incontro con gli organismi pastorali o con i gruppi dei collaboratori in parrocchia.

È il dono più bello che sto ricevendo.

Anche questo è un “segno dei tempi”. Incontro persone che desiderano parlare, dire la loro impressione, dare voce alle loro perplessità, manifestare le loro aspettative, porre le loro domande…

C’è una grande sete di rapporti interpersonali autentici e di vincere quelle diffidenze che rendono fragile il tessuto relazionale delle nostre comunità. Noto il bisogno di una fede più semplice, più legata alla vita, più attenta al contesto odierno, più riconciliata. La nostra esperienza di fede non può ridursi ad essere nostalgia di un passato che non c’è più.

Basti ricordare alcune parole di Gesù, come: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro […] Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» [Mt 11,28]. Ma anche: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» [Lc 11,46].

Se dovessi esprimere una parola ai miei preti – che immagino non vivano una stagione pastorale facile – ribadirei loro che è giunto il tempo di dare fiducia e credibilità alla Parola di Dio così come ce la consegna l’autore della prima lettera di Giovanni che scrive alla sua comunità: «E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca» [1Gv 2,27]. Non è sano che noi ministri ordinati abbiamo il monopolio della pastorale. Questo è il tempo della corresponsabilità nella Chiesa. Va superato l’atteggiamento pastorale per cui i laici sono semplicemente dei destinatari della nostra azione pastorale. In questo modo rischiamo di sentirli come dei concorrenti nella responsabilità ecclesiale. Su questo volto di fraternità occorre sincerità di cuore, coraggio d’animo e intraprendenza pastorale. Ciò che negli OP è chiamato “discernimento comunitario” significa e comporta proprio questo esercizio. Occorre ascoltarsi reciprocamente, trovare vie e forme in cui convergere sulle cose essenziali.

La testimonianza di Davide che ora si trova qui a due passi nella Casa circondariale è anch’essa un “segno dei tempi”. Lo ringraziamo di cuore del dono della sua presenza oggi qui in questa assemblea. La sua parola ci ha riconsegnato l’appello di papa Francesco alle nostre Chiese in Italia, nel convegno ecclesiale di Firenze (novembre 2014):

«Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà».

Penso che il nostro territorio, tutta la sua popolazione, le nostre istituzioni, le forme di vita associata che ci caratterizzano abbiano bisogno di questo sogno.

Ed ecco le quattro domande su cui poggiano gli Orientamenti pastorali elaborati nel Consiglio pastorale diocesano, consegnati all’inizio della stagione estiva:

  1. Dove collocare l’anno pastorale 2016-2017?
  2. Con quale attenzione e cura vivere l’anno pastorale 2016-2017?
  3. In quale modalità e con quale metodo “fare pastorale”?
  4. Quale volto di Chiesa intendiamo manifestare?

In questa Assemblea abbiamo semplicemente ripreso queste quattro domande. Possono tracciare benissimo anche il cammino che sono chiamate a fare le nostre comunità. Vi invito a tornarvi sopra, a riprenderle ogni qualvolta in parrocchia ci si guarda attorno e si maturano delle scelte o si dà vita a delle iniziative.

Nelle visite alle parrocchie che sto compiendo sono le domande che le persone mi pongono.

  1. Dove collocare l’anno pastorale 2016-2017?

Circa la prima, mi si chiede: Dove siamo arrivati, in quanto comunità ecclesiale? Come siamo? Chi siamo?

Sono domande che ci provocano a guardarci in volto, a riconoscerci, a dirci con fiducia che ci siamo, a riconoscerci a vicenda e apprezzarci…

Non sfuggiamo da esse. Non valgono meno di una processione o di una tradizione a cui siamo legati, anzi…

2. Con quale attenzione e cura vivere l’anno pastorale 2016-2017?

Le persone chiedono: ma come possiamo cavarcela oggi? Cosa significa oggi vivere la fede in Gesù nel tempo complesso di oggi?

Con gli Orientamenti pastorali ci siamo invitati a intonarci sul Vangelo, percependo il dono di gioia e di speranza che esso ci offre. Chiediamoci se sono in sintonia con questa intonazione le nostre iniziative pastorali.

A noi Vescovi nuovi papa Francesco, incontrandoci a settembre, ci ha detto di non chiedere «troppo frutto da alberi che non sono stati abbastanza coltivati». E ci faceva notare che «si è perso il senso dell’iniziazione», in quanto «nelle cose veramente essenziali della vita si accede soltanto mediante l’iniziazione». Ci incoraggiava ad avere la pazienza di ripartire dall’inizio, di pazientare nei tempi della crescita, di curare ogni piccolo germe che spunti. Oggi per tutti noi è un tempo per ricominciare nella gioia del Vangelo.

3. In quale modalità e con quale metodo “fare pastorale”?

Nelle conversazioni avute con i Consigli pastorali parrocchiali e con quanti prestano la loro collaborazione nella vita parrocchiale è ritornata questa domanda. A volte era nascosta dietro lamentele su cose che non riusciamo a garantire più.

È necessario questo travaglio, questo interrogarsi, questo cercare nuove modalità sostenibili per la vita delle nostre comunità. Si apre una stagione di ricerca per la nostra Chiesa. È già stata predisposta dal cammino finora compiuto. Le difficoltà che registriamo in pastorale ci spingono a farlo. Una cosa è certa: lo possiamo fare “camminando insieme”. Mi pare sia questa la fedeltà creativa al Sinodo diocesano concluso dieci anni fa. C’è un’urgenza nel modo con cui programmiamo e operiamo nelle parrocchie. È dato da parole come: corresponsabilità, organismi di comunione, Consigli pastorali, équipe. Questo stile sinodale da reinventare e aggiornare sarà la condizione per aprirci al futuro e per operare quei cambiamenti che le nuove situazioni socio-culturali ci chiedono.

4. Quale volto di Chiesa intendiamo manifestare?

A rispondere a questa quarta domanda riprendo ancora le parole di Papa Francesco, dette a noi Vescovi nuovi:

«Domandate a Dio, che è ricco di misericordia, il segreto per rendere pastorale la sua misericordia nelle vostre diocesi. Bisogna, infatti, che la misericordia formi e informi le strutture pastorali delle nostre Chiese. Non si tratta di abbassare le esigenze o svendere a buon mercato le nostre perle. […] Non abbiate paura di proporre la Misericordia come riassunto di quanto Dio offre al mondo, perché a nulla di più grande il cuore dell’uomo può aspirare. […]».

Ecco la nostra missione! Le nostre comunità devono ospitare e lasciarsi cambiare dalla misericordia di Dio che Gesù ha raccontato e donato nel Vangelo.

Il papa precisa: «Rendere pastorale la misericordia è proprio questo: coniugarla in verbi, renderla palpabile e operativa». E cita l’operare creativo del “buon samaritano”.

Sono così le nostre comunità?

Sulla strada da Gerusalemme a Gerico – è la strada del buon samaritano – cercheremo ancora di immetterci, di ricominciarla, di accompagnarci a vicenda a percorrerla ancora:

«Dovunque andiate, ricordate che non è lontana la strada di Gerico. Le vostre Chiese sono piene di tali strade. Molto vicino a voi non sarà difficile incontrare chi attende non un “levita” che volta la faccia, ma un fratello che si fa prossimo».

Queste parole di papa Francesco interpretano bene il futuro delle nostre comunità.

Proposta per l’inizio della Quaresima

Ed ora un ultimo passaggio. Desidero formulare qui una proposta che ho vagliato nel Consiglio pastorale diocesano e che nasce semplicemente dall’intento di porre un segno del nostro camminare insieme nella gioia del Vangelo. Questo è possibile, anche tra le contraddizioni e le resistenze che ci portiamo dietro, se ancora ci aiutiamo ad accogliere la misericordia del Padre che Gesù ci ha liberato, per poi anche manifestarla e donarla. Per questo siamo Chiesa, tante comunità disperse su tutto il nostro territorio e non solo, anche oltre come oggi ci testimonia Emanuela. Sta tutto qui il nostro impegno pastorale.

Ecco, allora, il segno. Lo chiamiamo “Giorni dello Spirito e di comunità”. Riguarda tutte le nostre parrocchie, le coinvolge ciascuna, valorizzando anche la collaborazione che c’è tra alcune di esse. Su 87 parroci 44 sono con una parrocchia, ma 43 con due e più parrocchie, fino ad otto.

Lo collochiamo all’inizio del tempo della Quaresima, un tempo che già la Liturgia valorizza come tempo di grazie e di riconciliazione.

Lo programmiamo nei giorni tra il mercoledì delle Ceneri e la prima domenica di Quaresima.

Tutta la Diocesi è chiamata a vivere questo breve tempo come “Giorni dello Spirito e di comunità”.

Che cosa faremo?

In ogni comunità parrocchiale si inviterà chi è disponibile: ci auguriamo che lo siano chi fa parte dei Consigli pastorali e dei Consigli parrocchiali per gli affari economici, quanti operano nella catechesi, nella liturgia, nella carità e nelle altre forme di animazione e di accompagnamento. Lo rivolgeremo con delicatezza e motivandolo a tutti i fedeli che avranno il desiderio e l’interesse di accoglierlo, senza preclusioni.

Nell’arco di quei giorni ci si daranno innanzitutto quattro appuntamenti comunitari, nelle ore ritenute più opportune, sostenendo la fatica che ciò potrà comportare. Saranno momenti appunto “dello Spirito” e “di comunità”, intonati sulla “gioia del Vangelo”. Lì la comunità si ritroverà e condividerà ascolto, preghiera, fraternità secondo i quattro punti degli Orientamenti pastorali.

Saranno, dunque, giorni di fraternità, di vangelo e di fiducia.

Dunque non un “di più”, ma quello che siamo chiamati già a vivere, con il “di più” di uno stile di incontro e di una scelta per tutta la Diocesi.

È bello pensare che tutti coloro che si sentono parte viva della comunità ecclesiale locale, la parrocchia – senza pregiudizio per chi non può aderirvi – possano ritrovarsi in questo simbolico passaggio dell’inizio della Quaresima.

Prepareremo questi giorni. Offriremo una traccia di base che poi ogni parrocchia applicherà e adeguerà alla propria situazione.

È importante che in quei giorni non ci appiccichiamo altri impegni, seguendo il criterio non di moltiplicare, ma di qualificare. Ci sono esperienze che possono alleggerire la comunità e non appesantirla.

In vista di questa preparazione, vogliamo un po’ uscire dagli usi consueti. Chiederemo ai parroci e ai Consigli pastorali di chiedere a due/tre laici – uomini e donne, giovani/adulti – di dare la disponibilità per uno o due incontri di preparazione che faremo in più punti della diocesi per venire incontro al problema delle distanze. Offriremo il materiale per predisporre questi giorni e soprattutto per coglierne il vero senso e lo stile con cui realizzarli in parrocchia. Cercheremo di accompagnare la comprensione e la realizzazione di questa proposta. Una particolare attenzione, però, ci vuole a riguardo di queste due o tre persone da individuare: possibilmente non siano i soliti che sono già impegnati in parrocchia. Si abbia l’ardire di coinvolgere persone nuove, facendo loro la sorpresa di un invito ben motivato…

Si tratta di un momento simbolico del cammino di quest’anno che non introduce prospettive diverse da quelle che abbiamo già, ma le attiva in novità di incontro.

Vi chiedo di non parlare male da subito di questa proposta. Di non cercare ostinatamente le difficoltà e le ragioni contrarie.

Vi chiedo di accoglierla nella gioia del Vangelo. E per questo ci aiuteremo. Vorremmo che questo corrispondesse al sogno di Chiesa consegnatoci da papa Francesco.

E per concludere, dicendovi un grande grazie, anche a nome del Consiglio pastorale diocesano e di tutti i collaboratori diocesani, alcuni dei quali hanno preparato questa Assemblea, ricorro ancora a papa Francesco citando Laudato si’, la lettera enciclica sulla casa comune.

Al numero 222 sotto il titolo Gioia e pace egli scrive, come se pensasse a noi:

«È importante accogliere un antico insegnamento, presente in diverse tradizioni religiose, e anche nella Bibbia. Si tratta della convinzione che “meno è di più”. Infatti il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo».