Ognissanti 2019

Omelia per la solennità di tutti i Santi - Cattedrale e concattedrale
01-11-2019

Ap 7,2-4.9-14; Sl 23(24) ; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a

Siamo tutti alla ricerca – a volte affannata – di una certa qualità di vita. La vita chiama vita, ha bisogno di esprimersi in bellezza, in bontà, in autenticità. A tutti noi è successo, in certe situazioni, di assaporare e scoprire che a qualificare la vita e a rigenerarla vi è quella speciale componente che chiamiamo “amore”.

Potremmo dire che “santa” è una vita che si lascia irrorare dall’amore. A volte ne basta poco per disintossicare la vita, per sprigionare quella fiducia che le fa riprendere quota. Spesso tutto si risveglia e riprende vigore quando si riceve un gesto o una parola o un tocco d’amore. Infatti si può ammettere che prima della vita viene l’amore. Se non si è amati è impossibile vivere… Penso che una vita santa sia una vita che ha ricevuto un po’ di amore. Ne basta un po’ per aprire una breccia di luce e di speranza.

Se parliamo di “Santi”, oggi, potremmo subito riferirci all’amore che loro hanno ricevuto, dal quale si sono lasciati sorprendere e dal quale hanno attinto le ragioni del loro vivere; per cui hanno saputo riprendere coraggio fino a rimettersi in piedi. Quando succede questo, allora si accetta di vivere e di farlo con gusto, con ragione, per uno scopo.

L’espressione dell’apostolo Giovanni nella seconda lettura mi pare che ci porti su questi pensieri: «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!». È altrettanto comprovato dalla nostra esperienza quello che Giovanni riconosce alla fine della lettura: «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro». Il riferimento è a Dio di cui l’apostolo dice: siamo realmente figli di Dio, dunque amati da Lui. E aggiunge: «ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato».

Potremmo dire che la santità di Dio è il suo amore inarrestabile. Non sappiamo altro di Lui. Gesù nella sua ospitalità; nel suo incontrare le persone di ogni genere e tipo, prediligendo chi era ai margini; nel suo guarire i cuori e i corpi; nell’indicare la via del Vangelo, liberando il dono del perdono e della riconciliazione per tutti… ha narrato nient’altro che questa dedizione sperticata e totale di Dio ad amare.

Ne sono eco le “Beatitudini” che abbiamo riascoltato dall’evangelista Matteo e che sempre nuovamente ci sorprendono, innanzitutto perché sono contro-tendenti rispetto a certe nostre personali istintività e alle logiche che regolano i nostri rapporti sociali. Chi di noi può dirsi pienamente in sintonia con esse? Addirittura la parola “beatitudine” ci risulta così difficile e lontana dal nostro vivere. Le situazioni di vita che Gesù prende in considerazione misurano la nostra distanza dal suo stile di vita, dal suo Vangelo e ci riportano alla nostra realtà: se non siamo amati, guariti, rimessi in piedi dagli insuccessi che ci succedono; se non siamo sorretti e se non intrecciamo le nostre mani per aiutarci… ci scopriamo e ci sentiamo “non salvati”. È davvero bella la dichiarazione finale che, nella visione dell’Apocalisse, abbiamo ascoltato dalla figura dell’anziano che si rivolge all’apostolo Giovanni: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». E si riferiva ad una «moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni nazione, tribù, popolo e lingua».

Ecco che cosa origina santità, dunque bellezza, bontà, autenticità e, secondo Gesù, beatitudine nella nostra vita e tra di noi: lasciarci toccare dalla santità di Dio che è il suo interminabile e sorprendente tirocinio d’amore con noi. Una piccola breccia nella nostra vita di questo “lasciarci amare da Dio”, aggiungendovi un po’ del nostro voler bene attorno a noi, attiva quella purificazione dei cuori che porta alla beatitudine di una santità nella nostra povera e fragile condizione di vita. E Gesù non molla, anzi rincara: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».