Lc 24,1-12
Otto giorni fa il racconto della Passione ci ha condotti al gesto delicato e commovente di Giuseppe d’Arimatea «che non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri». Così lo presenta l’evangelista Luca, segnalando inoltre due tratti di lui: «buono e giusto».
In questa Veglia della Pasqua siamo nel cuore dell’anno liturgico in cui si celebrano i “misteri” della vita e della missione di Gesù. Ci siamo dopo lo stordimento drammatico della sua passione, con la condanna alla morte di croce e la collocazione del corpo di Gesù nel sepolcro.
La Liturgia della Parola ci ha fatto ripercorrere alcune tappe della storia che precede e prepara la vicenda di Gesù. È stato importante questo percorso: ad esso apparteniamo. Anche noi siamo nella creazione, poiché portiamo l’immagine e la somiglianza di Dio; anche noi siamo con Abramo, l’amico di Dio, per stringere alleanza con Dio ed essere ammessi alle sue promesse; anche noi siamo ad attraversare il Mare Rosso per raggiungere il dono della libertà; anche noi siamo quella donna abbandonata e con l’animo afflitto a cui il profeta Isaia annuncia che sarà raccolta “con immenso amore” dal suo creatore che le usa misericordia.
In questa notte siamo in attesa che le donne, discepole di Gesù fin dalla Galilea, si rechino al sepolcro dove Giuseppe d’Arimatea aveva posto il corpo di Gesù. Colpiscono questi gesti così umani, lasciati a persone di secondo piano. Gli apostoli sono ammutoliti e sembrano “fuori gioco”. C’è un filo sottile, marginale e delicato che collega la vita, che non molla, che sa che l’amore è più forte della morte. Ci sono semplicemente degli aromi da portare. E succede l’inaudito: l’amore non si è spento, non è stato soppresso, ma si è fatto piccolo e penetrante fino ad entrare nel sepolcro dove doveva regnare la morte.
Tutto questo l’abbiamo rappresentato con la liturgia del fuoco all’inizio di questa veglia, entrando in questa Cattedrale che era nel buio, sostenuti dapprima da piccole fiamme di luce che non potevamo accendere se non da Lui, simbolicamente rappresentato dal cero pasquale.
Questa veglia ci fa scoprire che nel buio più profondo Gesù raccoglie ogni fiamma d’amore, la alimenta, toglie le forze del male che potrebbero spegnerla. Con essa egli riaccende tutta quanta la vita e la storia, anche i luoghi più bui e più perduti.
Potremmo davvero cantare, in questa notte, mentre approdiamo all’alba della vita, che «Forte come la morte è solo l’amore, più forte della morte è stato l’amore vissuto da Gesù Cristo».
È questo che noi cristiani dovremmo annunciare, con umiltà e discrezione, a tutti gli uomini e le donne. Abbiamo un annuncio disarmato, a volte poco convincente, come quello delle donne di cui parla l’evangelista Luca: «Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri». Perfino agli Apostoli queste parole parvero «come un vaneggiamento», “soltanto una bella notizia”.
Ma il vero senso della risurrezione di Gesù va cercato motivo di come egli è vissuto, «l’amore è in grado di combattere la morte, fino a vincerla».
Possiamo sperare che a questa vittoria dell’amore tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità siano interessati.
Il quarto evangelista fissando lo sguardo su Gesù innalzato sulla croce aveva commentato, ricordando la Scrittura: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».