Quand’ero ancora giovane…

Omelia nelle esequie di don Giuseppe Minella (chiesa parrocchiale di Santa Giustina)
23-08-2023

Sir 51,13-14. 21-30; Sal 15; Mt 20,1-16

«Quand’ero ancora giovane, prima di andare errando, ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera». Queste parole giungono a noi dal Siracide, ma sembrano rispecchiare alcune istantanee di vita del nostro carissimo don Giuseppe Minella. «Quand’ero ancora giovane»… Sì, perché la sua parabola di vita conta 93 anni. Tornava spesso don Giuseppe nel suo passato, lo faceva con leggerezza: sorvolava gli eventi, citava le persone, indicava i tempi, svelava un’infinità di particolari… e poi, soprattutto, spiegava ogni cosa, come se tutto fosse un grande insegnamento da trasmettere.

Inarrestabile nel suo intento di ammaestrare, ti parlava per un’ora intera e, poi, oltre… Fino a qualche settimana fa, prima di essere accolto in ospedale, don Giuseppe non aveva mai smesso di leggere, di studiare, di rivisitare pagine di letteratura e di teologia, sempre rinnovando questa sua passione, come una sete che non si saziava. Come confida il Siracide: «Ricercai assiduamente la sapienza nella mia preghiera. Davanti al tempio ho pregato per essa, e sino alla fine la ricercherò». A casa Kolbe negli ultimi tempi aveva trovato una dimora che gli consentiva di immergersi con naturalezza in tale ricerca. C’era anche chi, tra il personale, era ammirato di questo suo sapere che con immediatezza trasmetteva. Lunedì mattina, poco dopo la morte di don Giuseppe, un confratello di casa Kolbe ha detto: «Stamattina ho perso un amico». Siamo grati al Signore per questi estremi passaggi di serena dedizione a Lui che don Giuseppe ha vissuto nell’ultimo tratto della sua lunga esistenza. Probabilmente sono passaggi che gli hanno consentito di rielaborare la sua personalità forte, convinta, a volte poco assecondante. Ci piace pregare con lui e per lui con le parole del salmo 15: «Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi istruisce. Io pongo sempre dinanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare».

Quando una settimana fa don Giuseppe rientrò dall’ospedale a Casa Kolbe, le sue condizioni non apparivano promettenti. Ero lì con padre Giuseppe Franco – che ringraziamo per la sua dedizione ai nostri confratelli infermi – e nei momenti in cui aveva percezione del dolore fisico, il nostro don Giuseppe pronunciava e ripeteva un nome: «mamma, mamma…». Dunque una dolcezza nascosta, che non immaginavamo in lui.

Eccoci qui a ricomporre in questa celebrazione della Pasqua di Cristo il mistero della chiamata che motiva e sostiene tutta la vicenda umana e ministeriale di don Giuseppe. La parabola di Gesù ascoltata nel Vangelo di oggi è un capolavoro di accondiscendenza divina e di misericordia, che accoglie e valorizza in ogni ora, anche in quella estrema delle ultime possibilità, addirittura “fuori tempo”: «Andate anche voi nella vigna: quello che è giusto ve lo darò». Colpiscono i molteplici impegni pastorali assolti da don Giuseppe oltre quello del cuore: l’insegnamento. Fu a Roma tra i granatieri e, poi, “missionario per gli emigranti a Colonia”. Nella vigna del Signore egli è andato a tutte le ore. Nel suo cuore ha nutrito un’attenzione a chi è nella povertà ed è nel bisogno. Immaginiamo come ora, compiuta la sua vita terrena e la sua missione, sia affacciato sul mistero di Dio. Il Signore della vigna è ancora a sorprendere, oltre le sue molteplici chiamate sparse ovunque e attive fino agli ultimi. Nella parabola che abbiamo ascoltato Gesù dà voce alla consegna d’amore che Dio rivolge a tutti: «“Amico, io non ti faccio torto. […] Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”». È la prova estrema dell’amore sconfinato di Dio. Gesù l’annuncia così: «Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». Affidiamo ora a questa promessa di Gesù il nostro fratello Giuseppe.