Stiamo vivendo giorni difficili

Omelia nell’Eucaristia con le forze dell’ordine - Lunedì Santo
25-03-2024

Is 42,1-7; Sl 27 (26); Gv 12,1-11

Sono giorni difficili questi in cui si colloca la Settimana Santa che ieri si è aperta al seguito di Gesù nel suo entrare nella città di Gerusalemme. L’evangelista Marco racconta che era a disposizione di Gesù un puledro «sul quale nessuno era ancora salito». Gesù è entrato a Gerusalemme acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». L’evangelista ci informa che più volte, in quei giorni dopo l’arrivo in Giudea, Gesù era salito al tempio dove anche ha compiuto il gesto della cacciata dei mercanti, ha raccontato la parabola dei vignaioli omicidi, ha discusso e polemizzato con alcuni gruppi giudaici, è entrato in contrasto con gli scribi, ha guardato con ammirazione il gesto di elemosina di una povera vedova, ha parlato con immagini apocalittiche preannunciando un compimento, un passaggio che avrebbe portato una decisiva novità: «In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,30). Sappiamo che in quei giorni, di cui facciamo memoria in questa Settimana Santa, Gesù alloggiava a Betania, il villaggio dell’amicizia e della fraternità. Lì avvenne che una donna durante una cena (a casa di Simone il lebbroso) «ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo». Gesù a chi era meravigliato del fatto disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. 7I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. 9In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,6-9). Come abbiamo sentito dal racconto evangelico di oggi – siamo nel IV Vangelo attribuito a Giovanni – si racconta di un fatto simile, ma ambientato in casa di Maria, Marta e Lazzaro. Qui sarebbe la stessa sorella di Lazzaro, Maria, a cospargere i piedi di Gesù con «trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso», poi ad asciugarli con i suoi capelli, cosicché «tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo».

Dicevo che stiamo vivendo giorni difficili. Il quadro internazionale, come non mai, è preoccupante: c’è una tensione elevatissima con il timore di un’escalation di guerra. Ma le guerre non conoscono una via d’uscita, sono strade sbarrate sovraccariche di bruttezze, di odio. Siamo preoccupati perché troppe nazioni sono sul “piede di guerra”.

La Settimana Santa, invece, inizia con dei segni profetici di altro genere: un puledro, considerato “animale umilissimo”, un portatore povero, ma disponibile; e poi del profumo, di puro nardo versato o sul capo o cosparso sui piedi. Ne è Gesù il destinatario. In Lui la storia si capovolge, segue un’altra logica: essa si fa umile ma pregnante di ulteriori disponibilità e promettente. Gesù a partire da quegli umili segni apre uno squarcio sulla storia umana. Addita, sì, la sua passione e la sua sepoltura, ma come un «chicco di grano, che caduto in terra muore» per germogliare e produrre molto frutto.

Isaia, alcuni secoli prima, aveva preannunciato un “servo di Dio” – umile e docile, come abbiamo sentito nella prima lettura. E Dio a Lui avrebbe affidato la sua intenzione di salvare il suo popolo, l’umanità intera: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di Lui; egli porterà il diritto alle nazioni». Ma eco come si compirà tutto questo: Egli «non griderà, non alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata […] proclamerà il diritto con verità».

In questi giorni, la Settimana Santa con la Pasqua giudica l’intreccio contaminato della storia, gli intrighi della violenza, l’inferno dei terrorismi, l’assurdità di ogni guerra. Non ha senso spingersi sui fronti della guerra, dei suoi mezzi, delle sue dinamiche.

Dio ci sta parlando così, ci sta attendendo nella Pasqua del suo Figlio. Ognuno di noi ha delle responsabilità e, dunque, dei doveri. La Chiesa, sulla scia del suo Signore, non può che acclamarlo nella parola di fede, nella sua liturgia, nel suo servizio d’amore. Occorre smontare i nostri cuori e la nostra mente di tanti diritti, di tanti privilegi, di tante paure, di tante pretese, di tanto potere. Solo “la pace” è il seme con cui Dio si è alleato con noi tutti uomini e donne di ogni dove e di ogni tempo.

Auguro questa “pace” a tutti voi, alle vostre famiglie alle comunità dove siete – con coraggio e sacrificio – a servizio della legalità, della giustizia e del bene della convivenza civile.