At 8,5-8.14-17; Sal 65(66); 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21
Vittore e Corona, amici del Signore, suoi martiri, per noi fratello e sorella in Gesù, ci raccolgono oggi a imbastire il loro martirio con la nostra fede su cui oggi molto ci interroghiamo poiché appare estromessa dall’ambito pubblico. Si diventa martire per amore, solo perché si ama. Solo l’amore motiva e spiega come mai ora siamo qui: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Sono queste le ultime parole di Gesù donate a noi nella lettura del Vangelo di oggi. Con Dio non può centrare altro che l’amore. Ciò che avviene nella nostra inquieta ricerca di Lui e ciò che sperimentiamo ogni volta che ce ne andiamo abbandonando Lui, è soltanto amore: amore cercato, trasudato, atteso… amore che ci precede, che ci accoglie… amore ignorato da cui ci si allontana… amore che non lascia e che germoglia di nuovo ma altrove… Ciò che dice Gesù in premessa – «Se mi amate…» – è la condizione dove è in gioco la vita, la sua bellezza, la sua promessa, il suo manifestarsi a noi, poiché sempre la vita ci è data in dono. A Dio si giunge spogli di tutto e solo per un frammento d’amore che in noi, come un seme, è posto e germoglia. Per questo affermiamo che la verità della vita è solo l’amore.
Nel loro martirio i nostri santi patroni, che oggi veneriamo, ci offrono una breccia attraverso cui fuoriesce e irrompe amore: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità». Questa promessa di Gesù, oggi, la onoriamo in Vittore e Corona celebrando la loro festa. Il “Paraclito” che Gesù promette ai discepoli non può che essere raccontato dall’amore, quello fontale che viene dal Padre e che Gesù nella sua Pasqua ha liberato. Oggi in verità siamo qui per tale “Paraclito” che, pur non essendo visto e conosciuto dal «mondo» – come attesta Gesù – rimane con noi per sempre.
Il racconto degli Atti degli apostoli, ascoltato nella prima lettura, narra come la vicenda e la testimonianza degli apostoli, passando gradualmente da Gerusalemme alla Samaria, manifesta che lo Spirito Santo raggiunge coloro che accolgono «la parola di Dio». È molto significativa la scena in cui i due apostoli, Pietro e Giovanni, sono inviati da Gerusalemme in Samaria: «Scesero e pregarono per loro [gli abitanti di quella città di Samaria] perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo».
Tutto questo è qualcosa che oggi, nel nostro contesto di Chiesa e nelle nostre città e paesi, va ripensato e riscoperto. C’è una cura che i discepoli di Gesù devono assumere e attuare – e mi riferisco a tutti noi che ci riconosciamo cristiani, dunque «battezzati nel nome del Signore Gesù» – si tratta di rendere possibile che lo Spirito possa discendere ed essere ricevuto lungo le strade e nelle piazze della vita di oggi. Non occorrono battaglie, anche se a volte serve la libertà e il coraggio di rompere certe esitazioni dovute a un falso rispetto umano e di demolire certe barriere culturali e sociali che ci impediscono di guardare oltre e di superare ogni forma di chiusura identitaria. Serve, invece, entrare in una sorta di sinergia con lo Spirito che Gesù ha promesso affinché possa essere ricevuto. Di conseguenza comporta per davvero un nuovo modo di esserci nel vissuto di oggi, di questo nostro mondo.
Al dono dello Spirito di cui è attore e donatore Gesù risorto che lo riceve dal Padre, noi – ciascuno di noi e non solo i preti, il papa o, come spesso si dice, “chi comanda” – dovremmo corrispondere con il nostro esserci, come lo è stato per Pietro e Giovanni. Sono concrete e possibili per tutti le parole di Pietro nella seconda lettura proclamata: «Adorate il Signore , Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza».
Questa potrebbe essere la nostra testimonianza che nelle contingenze odierne risulta troppo affievolita e timorosa; anzi, potremmo azzardare a dire “il nostro martirio d’amore”, possibile a noi tutti, affinché anche oggi, a seguito degli apostoli, “siano imposte le mani” e possa essere ricevuto lo Spirito Santo da chi abita le città e i paesi delle nostre “samarie” (di questa nostra città di Feltre…).
In questo oggi siamo incoraggiati e sostenuti dai Santi Vittore e Corona: Cristo nei nostri cuori (nei nostri affetti), dare ragione della speranza che ci abita e deriva dal Risorto, fare questo con dolcezza e rispetto, avendo una retta coscienza.