A cura di don Ezio Del Favero

114 – Le Campanule di montagna

E chinò il capo, rassegnato a morire piuttosto che permettere a quella buona creatura di posarsi su di lui...

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Una volta, quando animali e piante vivevano in perfetta armonia sulla terra e nessuno pensava a danneggiarsi o a difendersi, c’era un Essere celestiale, rivestito di veli color arcobaleno. Era la fata Primavera, che scendeva ogni anno sulla terra prodigando le sue cure a ogni pianta. Ella le amava tutte, le abbelliva con colori e profumi e rendeva aggraziati i fiori più semplici.

Un giorno sulla terra discese anche il Male e tutte le cose soffrirono. Ello seminò zizzania invece di armonia, sparse odori disgustosi invece di profumi e fece in modo che tutti litigassero o si danneggiassero a vicenda. In tale disordinei la Natura si sforzava di proteggere i più deboli.

Fra questi, sulla montagna vi era una piantina delicata che per sfuggire ai pericoli chiese la forza di arrampicarsi più in alto possibile. E la Natura le concesse questo privilegio. La piantina si attaccò a un grande albero, vi si abbarbicò, crebbe e poté prosperare tranquillamente. Poi con la buona stagione mise su le prime foglioline e le gemme, diventando molto graziosa. Però il privilegio della piantina spiacque ad alcune piante invidiose che crescevano lì accanto. Si dissero malignando: «Questo rampicante ha molte pretese! Vuol salire troppo in alto e forse un domani vorrà dominare su tutte noi! Ma noi non lo permetteremo!». E con cattiveria si misero ad assorbire tutta l’acqua del terreno dove affondavano le radici dell’arbusto. Naturalmente il rampicante soffrì la sete, tanto che le foglie e i fiori nascenti non riuscirono a svilupparsi. «Ahimè, come farò?», gemette l’arbusto. Così il rampicante si rivolse alle Rondini che erano più vicine alle nuvole. «Rondini care, portatemi un poco d’acqua per i miei fiorellini che muoiono di sete!». Ma le rondini, che tornavano al nido, avevano fretta e non risposero.

Allora il rampicante si rivolse alle Libellule che volavano sullo stagno. «Graziose Libellule, portatemi un po’ d’acqua per i miei fiorellini che muoiono di sete!». Ma anche le Libellule avevano fretta e non risposero. I fiori del Rampicante diventarono tristi e cominciarono ad appassire. «Moriremo ben presto!», sussurrò la campanella più alta sui rami. «Guai se nessuno ci aiuta! Guai se non avremo qualche goccia d’acqua!». E sollevò lo sguardo verso il cielo sperando che giungesse qualche nuvola. Ahimè! Il cielo era azzurro e di nuvole neanche a parlarne. In quel momento scese dall’albero un Ragno orribile. «Oh, guarda un po’!», esclamò osservando il calice del fiore aprirsi nella speranza dell’acqua. «Ecco una bella trappola adatta ai miei interessi!». E siccome i suoi interessi erano quelli di acchiappare qualche insetto ignaro, penetrò da padrone nel fiore azzurrino e si mise in agguato. Il fiore era tanto esausto che non ebbe la forza di protestare, ma in cuor suo sentì un così vivo dispiacere che richiuse i petali.

Di lì a poco una splendida Farfalla dalle ali dorate sorvolò il rampicante; essa recava con sé alcune gocce di rugiada. Il fiore più alto la vide e gli sfuggì un lamento: «Potessimo avere quella rugiada!». La farfalla lo udì e gli svolazzò accanto.

«Povero fiorellino, che hai? Sei tutto avvizzito. Hai sete?». Il fiore non rispose. La Farfalla insistette: «Apri i tuoi petali e ti darò la rugiada che porto con me!». Il Fiore fremette di desiderio, ma non obbedì; anzi, tenne il calice ben serrato. Poi sospirò: «Vola lontano, Farfallina, vola lontano!». E chinò il capo, rassegnato a morire piuttosto che permettere a quella buona creatura di posarsi su di lui: il Ragno malvagio, nascosto nel profondo del suo calice, era pronto a ghermire l’incauta. E il Fiore rinunciò a quella rugiada che pure avrebbe significato ristoro e vita.

A quel sacrificio la Natura si commosse e ordinò alle nuvole di sciogliersi sul rampicante. L’acqua benefica discese a irrorare foglie e fiori. Il calice azzurrino aprì con gioia i suoi petali ed altrettanto fecero i suoi consimili. Così il Ragno tremendo dovette andarsene in tutta fretta per non rimanere affogato! Le piante malevoli che crescevano accanto si presero, pure esse, un bell’acquazzone che le colpì a dovere, e forse dopo quella lavata di capo divennero migliori.

Certo è che il Fiore azzurrino riprese vigore e tutti i suoi consimili si dissetarono, unitamente all’intera pianta. Poi, quando la pioggia terminò, i fiorellini del rampicante cantarono insieme un inno di ringraziamento. Aprirono bene i calici forgiati a campanelle e squillarono, squillarono, squillarono…

La Natura intese quel suono armonioso e ne fu felice. Ragione per cui volle chiamare quei fiorellini Campanelle o Campanule di montagna.

__________________

La parabola – raccolta in ambiente alpino – desidera insegnare il valore della compassione, che contribuisce a ridare gioia, speranza e vita.