A cura di don Ezio Del Favero

139 – Il sogno dell’albero secolare

A differenza degli uomini, gli alberi restano svegli per tre stagioni all’anno e dormono d’inverno

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Sul monte vi era un albero plurisecolare. A differenza degli uomini, gli alberi restano svegli per tre stagioni all’anno e dormono d’inverno. Durante le giornate estive, le farfalle danzavano intorno alle sue foglie ed egli esclamava: «Poverine! La vostra vita dura solo un mese!». Esse rispondevano: «Non siamo tristi! Per noi tutto è straordinariamente limpido, caldo e bello e siamo felici!». «Ma la vostra felicità dura poco!». «E tu non finisci?». «No, io vivrò ancora migliaia dei vostri giorni, un tempo così lungo che non potete neanche immaginare!». Le farfalle: «Tu hai migliaia dei nostri giorni, ma noi abbiamo migliaia di momenti di gioia! Ma quando tu morirai, finirà la tua bellezza?». L’albero: «No! Durerà molto più a lungo di quanto si possa pensare!». Le farfalle: «Allora è come succede a noi, ma con tempi diversi!».

Le farfalle continuavano a danzare, rallegrandosi del profumo inebriante del trifoglio, delle rose selvatiche, del sambuco, del caprifoglio, dell’asperula, della primula e della menta selvatica. La giornata era lunga e bella, piena di dolci sensazioni. Quando il sole tramontava, esse si sentivano piacevolmente stanche, si posavano su un morbido stelo d’erba ondeggiante e si addormentavano felici, talvolta per sempre.

Anche quell’anno l’inverno stava arrivando. L’albero si spogliò del suo fogliame per prepararsi al lungo riposo. Stava vivendo il suo quarto secolo. Era il tronco più grande e robusto del bosco; con la sua corona dominava gli altri alberi e dal mare aperto costituiva un punto di riferimento per i marinai. In cima alle sue fronde si stabiliva la colomba e il cuculo cantava; in autunno arrivavano gli uccelli migratori e vi si riposavano prima di ripartire per il mare aperto. Ora era senza foglie e si vedevano i suoi rami contorti e nodosi.

Una volta addormentatosi, l’albero fece il suo sogno più bello.

Ebbe la sensazione che quella fosse una giornata di festa. Il suo fogliame era fitto e verde, i raggi del sole giocavano tra i rami, l’aria era piena del profumo delle erbe e dei fiori e le farfalle si divertivano. Tutto quello che aveva vissuto nei lunghi anni di vita, gli si sfilò davanti. Vide i cavalieri e le dame dei tempi antichi, i corni e i cani da caccia, i soldati nemici con lance e alabarde, i fuochi delle sentinelle che dormivano sotto i suoi rami. Vide anche gli innamorati che s’incontravano al chiaro di luna e incidevano i loro nomi sulla sua corteccia, le cetre e le arpe appese ai suoi rami…

Fu come se un nuovo flusso di vita scorresse in lui. Il tronco continuò a svilupparsi, la corona di foglie si allargò. Cresceva, insieme a un senso di benessere, sempre più in su, fino al sole.

Ormai l’albero era già cresciuto oltre le nubi e le stelle brillavano come occhi chiari e trasparenti che ricordavano quelli dei bambini e degli innamorati incontratisi sotto di lui. Che gioia! Ma provò anche nostalgia e desiderio per gli altri alberi del bosco, i cespugli, le erbe e i fiori.  Non era completamente felice, perché non aveva con sé i suoi cari! Riassaporò nel sogno il profumo delle asperule, dei caprifogli e delle viole; gli sembrò anche di sentire il cuculo cantare. Finché tra le nuvole non spuntarono le cime degli altri alberi del bosco. Essi crescevano e s’innalzavano come lui, i cespugli, le erbe e i fiori si tendevano verso l’alto. Una cavalletta suonava con le ali, i maggiolini borbottavano, le api ronzavano, gli uccelli cinguettavano in un unico canto di gioia verso il cielo. Arrivarono anche il fiore dello stagno, la campanula azzurra, la margheritina, le asperule dell’estate, i mughetti, il melo selvatico…

Il vecchio alberò disse: «È così bello da non poterci credere! Sono tutti qui, grandi e piccoli! Sembra impossibile solo immaginare una tale beatitudine!».
Una voce risuonò: «Nel regno di Dio tutto è possibile!». L’albero: «Ora più nulla ci trattiene. Possiamo volare in cielo fino all’Onnipotente, nella luce e nella magnificenza. Con tutti i miei cari!».

In quell’istante, ci fu una violenta tempesta. Il mare rovesciò grosse onde che lambirono la montagna. L’albero scricchiolò, si sradicò e si schiantò proprio mentre stava sognando che le sue radici si liberavano. All’alba le campane delle chiese suonarono a festa, perché era il Giorno Santo. Il mare divenne calmo e su una grande imbarcazione i marinai onorarono la Festa…


La parabola, tratta da una storia del favolista danese Andersen, termina con l’esclamazione dei marinai: «Il vecchio albero, il nostro punto di riferimento, non c’è più!». E intonando un inno di gioia sulla liberazione degli uomini in Cristo e sulla vita eterna. si sentirono sollevare, proprio come l’albero si era sentito innalzare nel suo ultimo e magnifico sogno nella notte Santa.

Illustrazione di Lucia Coltamai