A cura di don Ezio Del Favero

144 – Il pastore e la principessa

Il pastore: «Salute a me! Che Dio mi benedica!». Il re urlò: «Non salute e benedizione a te, ma a me!».

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

In una contea, situata in una zona montagnosa, un re pretendeva che tutti lo salutassero con inchini e benedizioni: «Salute a voi! Che Dio vi benedica!». Tutti lo facevano, timorosi, a eccezione di un giovane, conosciuto come “il pastore dagli occhi di stelle” per il suo sguardo luccicante come le stelle.

Un giorno, il re venne a sapere che un giovane suddito non intendeva sottomettersi al suo potere e lo fece chiamare. Quando il pastore fu al suo cospetto, il sovrano gli ordinò di rivolgersi a lui dicendogli: «Salute a voi! Che Dio vi benedica!».

Il pastore: «Salute a me! Che Dio mi benedica!». Il re urlò: «Non salute e benedizione a te, ma a me!». «Qualunque cosa accada – precisò il giovane – non lo dirò finché non sposerò la principessa vostra figlia!». La ragazza, che si trovava in quella stanza, apprezzò il coraggio del giovane e provò simpatia per lui. Il re, invece, s’infuriò e ordinò che il giovane fosse condotto nella gabbia dell’orso bianco.

I soldati eseguirono gli ordini del sovrano. Ma, quando l’orso vide gli occhi stellati del pastore, si rannicchiò nell’angolo opposto della gabbia senza sfiorarlo. Il giorno dopo il ciambellano arrivò per raccogliere le ossa del giovane e vide che costui stava bene. Così lo ricondusse al cospetto del re. «Miserabile! Adesso che hai visto in faccia la morte, ti deciderai a dirmi: salute a voi, che Dio vi benedica?» Il pastore: «Piuttosto morirei 10 volte! Lo dirò solo quando mi darete in sposa la principessa».

Il sovrano lo fece rinchiudere nella cella dei ricci giganti.

Una volta in prigione, il giovane prese un flauto che teneva in una manica del suo abito e suonò così soavemente che i ricci si misero a danzare. Il giorno dopo, il ciambellano arrivò, assistette alle danze e ricondusse il pastore al cospetto del re. «Miserabile! Quando ti deciderai ad augurarmi salute e benedizioni?». «Piuttosto morirei cento volte! Vi augurerò salute e benedizioni solo quando mi permetterete di sposare la principessa». Il sovrano ordinò che il pastore fosse imprigionato in una cella che dava su di un pozzo le cui pareti erano coperte di lame taglienti.

All’interno della nuova prigione, il giovane tolse alcune pietre all’interno della voragine, le pose accanto all’imboccatura e le rivestì col suo cappotto e il suo copricapo. Poi, nella penombra, lanciò un urlo e, mentre i soldati si voltavano verso la cella, spinse il cappotto pieno di pietre verso il pozzo come se fosse lui a precipitare, nascondendosi a sua volta in un angolo. Il giorno dopo, il ciambellano arrivò convinto che il giovane fosse precipitato nel pozzo e invece lo trovò ancora in vita. Ancora una volta lo condusse dal re. Il sovrano: «Ora che sei tornato dall’ennesimo cerchio della morte, ti deciderai ad augurarmi salute e benedizioni!». «Ve li augurerò solo quando mi darete in sposa la principessa!». A quel punto il re comprese che non sarebbe riuscito a eliminare il giovane e fece preparare la carrozza reale.

Il sovrano fece salire il pastore sulla carrozza e insieme si diressero nella Foresta argentata, dove il re propose al giovane: «La Foresta sarà tua se mi dirai: salute a voi, che Dio vi benedica!». «Lo dirò solo quando mi darete in sposa la principessa!».

Il sovrano si fece portare, insieme al giovane pastore, presso il Castello dorato. «Il Castello e la Foresta saranno tuoi se mi dirai: salute a voi, che Dio vi benedica!». Il giovane ripeté: «Lo dirò solo quando potrò sposare la principessa!».

I due proseguirono fino al Lago diamantato. «Il Lago, insieme al Castello e alla Foresta, sarà tuo se mi dirai: salute e benedizioni!». Il pastore ripeté: «Solo se mi concederete la mano di vostra figlia!». A quel punto il re dovette arrendersi. Sospirando disse: «Va bene! Ti darò la mano di mia figlia, ma devi dirmi: salute a voi, che Dio vi benedica!». «Così sia!», rispose il giovane.

Il sovrano annunciò il matrimonio ai suoi sudditi. La principessa, che nel frattempo aveva congedato definitivamente i molti pretendenti, perché si era innamorata di quel giovane pastore coraggioso dagli occhi di stelle, fu felice più che mai.

Durante la festa di nozze, il giovane si alzò da tavola e alzò il calice verso il sovrano augurandogli: «Salute a voi, che Dio vi benedica!». Il re si commosse, al punto che annunciò che il genero, marito della principessa, sarebbe diventato il suo successore al trono…


La parabola – di origine ungherese – termina come i racconti a lieto fine che premiano la bontà, il coraggio e la scaltrezza: «Fu così che il giovane pastore dagli occhi di stelle divenne il re di quella contea. E mai impose ai suoi sudditi di porgergli degli auguri a malincuore. Eppure, tutti gli auguravano tutto il bene possibile, con il cuore, perché era un sovrano molto buono e si faceva voler bene».