A cura di don Ezio Del Favero

162 – Il re e l’eremita sul monte

La sensazione di essere la più miserabile delle creature è l’apice della vita spirituale

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In una grotta sul fianco di una montagna viveva un vecchio eremita, che si nutriva di frutta selvatica e beveva l’acqua della sorgente.

Un giorno, un giovane pastore si avventurò sulla montagna, più in su del solito. Vide l’eremita, ma costui si diede alla fuga. Il pastore lo inseguì e lo vide entrare in una grotta, ma qui lo perse di vista, essendo la caverna come un labirinto piena di gallerie.

Così il giovane riprese la via del ritorno e si recò dal re Seydou: «Sire, sulla montagna ho visto un uomo solitario. L’ho inseguito, ma si è dato alla fuga come un capretto inseguito da una iena e si è nascosto all’interno delle grotte inaccessibili. Non ho capito se fosse uomo di Dio, figlio del diavolo o pazzo!».

Il re ordinò alle sue truppe di condurgli l’uomo solitario. Le guardie partirono e, accerchiate le grotte, urlarono l’ordine del re, minacciando l’eremita di ricorrere a metodi violenti in caso di disobbedienza. Costui, vistosi in trappola, si arrese e si lasciò condurre al cospetto del sovrano.

Il re, alla vista dell’anziano, fu preso da grande emozione, come invaso da un profondo rispetto religioso. Gli chiese: «Chi sei e perché vivi in quelle grotte?». L’uomo rispose: «Sono un figlio di questo mondo, che ha deciso d’imparare a dominarsi e a educarsi». Il sovrano riprese: «Perché fuggi di fronte ai tuoi simili?». L’eremita: «Non posso rispondere alla tua domanda, perché c’è un abisso fra noi due e non possiamo capirci. È come se tu vivessi in cima a un immenso monte e io a fondo valle: la mia parola ti giungerebbe infinitamente lontana!». Il re: «Come fare per accorciare tale distanza, in modo che le tue parole giungano alla portata della mia anima?». L’eremita: «Dovresti farti mio discepolo, scendere dal trono, cambiare i tuoi vestiti con degli abiti smessi e dimenticare la tua fortuna. E, per non pentirti della scelta fatta, dovresti poi considerarti come colpito da sventura e dirti che, per quanto grave sia la disgrazia nella quale sei caduto, esiste pur sempre una disgrazia più grande dalla quale Dio ti ha preservato a motivo della sua infinita misericordia».

Il re, consegnata al fratello la reggenza del regno, si tolse i suoi sontuosi vestiti e seguì l’anziano. I due arrivarono alle grotte e lì il re imparò a meditare, sotto la direzione dell’asceta. Un mese dopo si sentì migliore. E poi, piano piano, arrivò finalmente ad abbattere le barriere che separano le creature. Capì la vanità delle situazioni e delle ambizioni umane nel mondo effimero. Penetrò i segreti dell’esistenza. Riconobbe che la ragione d’essere di ogni creatura, dal sasso inanimato fino all’uomo la cui mente produce meraviglie, è insostituibile e necessaria. Imparò a rispettare tutti gli esseri che popolano i regni della natura. Questa sua coscienza si sviluppò in maniera talmente profonda da sentirsi più umile di qualsiasi esistenza.

L’eremita, visti i progressi del discepolo, disse: «Seydou, adesso non sei più l’altezzoso sovrano che considerava gli altri come granelli di polvere da calpestare. Hai capito che ogni cosa esistente ha uno scopo e si dirige verso il Bene Supremo. La tua esistenza, ora, è impregnata da questa verità e l’orgoglio è scacciato dal tuo cuore, al punto che non arrivi più a trovare qualcosa che ti sia inferiore. Prima che sleghi per te i nodi che suggellano i segreti del Bene Supremo, è necessario che tu percorra il mondo cercando di scoprire un essere o una cosa che giudichi valere meno di te».

Seydou si mise in cammino. Percorse i corsi d’acqua, le montagne e le colline del mondo; visitò villaggi e città, palazzi reali e bettole di briganti; consultò gli anziani; scrutò i cieli, gli astri e le stelle; osservò le maree e le spiagge con le sorprese del mare. Insomma, osservò tutto, ma non riuscì a trovare qualcosa, a suo giudizio, inferiore a lui. Ogni volta che analizzava qualcosa, scorgeva in essa un valore o una proprietà che lui non possedeva.

Tornò dal suo maestro, davvero persuaso di essere all’ultimo gradino, non avendo trovato niente che valesse meno di lui. «Sono proprio il più abietto, il più spregevole degli esseri; valgo ancora meno dei miei stessi escrementi, che provengono da preziosi nutrimenti!».

L’eremita si alzò, impose le mani sulla testa del discepolo. Gli toccò la fronte e il petto dicendo: «Fratello, la tua anima ha raggiunto il vertice della saggezza. La sensazione di essere la più miserabile delle creature è l’apice della vita spirituale!».


La parabola, raccolta in Senegal, termina con una profezia del saggio eremita: «Adesso torna al palazzo reale. Sarai uno dei rari sovrani non accecati dallo splendore della corona, sarai un Re Iniziato. La luce, la pace, la giustizia e l’amore non regneranno sulla terra fino a quando tutti i sovrani non saranno iniziati come te»…