Un tempo molto lontano, sui prati sotto gli alti monti viveva una piccola fata. Essa abitava in una grotta all’interno di una montagna e osservava il lago sottostante e le stelle e la luna riflesse sulle sue acque.
Quando i montanari del posto si sentivano in pericolo, invocavano la buona fata delle montagne e lei subito accorreva e si prodigava per aiutarli. A volte si trattava di un giovane pastore in pena, o di una casalinga in difficoltà, o di un cacciatore smarrito, o di un piccolo disperato per aver perso la sua mamma… La fatina aiutava e non chiedeva niente in cambio e tutti le volevano bene. In quella zona non c’era freddo e la tempesta non scoppiava mai. I montanari lavoravano tutto l’anno e ottenevano dei raccolti abbondanti ed erano felici.
Ma un giorno le cose cambiarono. Dalle montagne del Nord scese il terribile Inverno, seguito dai suoi Venti rigidi, dal Gelo e dalla Tempesta. In poco tempo quella terra felice fu coperta di neve, di ghiacci e di venti freddi e minacciosi. Per la prima volta i montanari si chiusero in casa con le loro famiglie, accanto ai caminetti accesi o all’interno delle stalle. Le strade, come la montagna, divennero bianche e deserte e le acque del lago gelarono.
In tutto quel trambusto nessuno si ricordò della piccola fata che viveva sulla montagna. Essa si riparò all’interno della sua grotta coprendosi di muschi e di foglie. Ma non riusciva a scaldarsi a sufficienza e una notte, mentre il vento sibilava glaciale con l’intenzione di annientare tutto, la fatina si rifugiò nel profondo della grotta, tutta triste, pensando: “E i miei protetti? Nessuno si ricorda più di me? Nessuno viene a soccorrermi, adesso che sono io nel bisogno?”. Le lacrime cominciarono a scorrerle sul volto, trasformandosi in goccioline di gelo.
La fatina sentiva che la vita cominciava a sfuggirle, quando si accorse che all’interno della grotta vi era qualcuno. Era il terribile Inverno, che le chiese: «Chi sei?». E lei: «Sono la fatina di questa montagna e proteggo la gente della valle. Ti prego, non far loro del male!». Inverno si commosse e precisò: «Tu pensi alla salvezza delle tue genti, ma nessuno pensa a te! Intendi ancora salvarle?». La fatina: «Sì, lo voglio, dovessi anche essere seppellita dalla neve e dal gelo!».
Il terribile Inverno decretò: «Tu sei buona e meriti di restare con la Natura e di allietare la Terra, anche se gli uomini ti hanno dimenticata. Farò in modo che ti rivedano tutti gli anni e che, in quell’occasione, rispunti nel loro cuore l’amore per te che per il momento ti è negato. Ti porterò con me, ma non per annientarti. Voglio che tu risorga dalle nevi, come creatura meravigliosa. Ti trasformerai in un bianco fiore all’arrivo della Primavera, quando si sciolgono le nevi!». La piccola fata sorrise a quella promessa, poi reclinò il capo e si addormentò profondamente. Allora l’Inverno la prese delicatamente, la portò sul prato sopra la vallata, la ricoprì di terra lasciando che la neve stendesse un candido manto sopra di lei e poi se ne andò.
Quando arrivò il disgelo, i montanari uscirono dalle loro dimore e, guardando verso le rocce ancora tutte coperte di neve, si ricordarono della piccola fata. Allora si dissero preoccupati: «Che ne sarà stato di lei?», non senza rimorso. Poi corsero sotto le pendici della montagna e la cercarono ovunque. Ma la fatina era scomparsa. Intuirono che fosse deceduta a causa del gelo e così si disperarono.
Ma quando videro un fiorellino bianco spuntato come per miracolo dalla neve, intuirono che fosse proprio lei, la loro cara fatina, trasformata in quella meraviglia.
D’allora, ogni anno, la piccola fata risorge tra le sue genti trasformata in “Bucaneve”, il magico fiore che annuncia il ritorno della Primavera.
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La parabola – raccolta sul territorio che si affaccia sul Lago Maggiore – parla di speranza. Il fiore (Bucaneve o Goccia di Latte) che spunta dalla neve è il simbolo di un tempo migliore.
Racconto tedesco: «Dio, nel momento della Creazione, come tocco finale chiese alla neve di scendere candida sui fiori e di colorarli rendendoli così speciali. Tutti i fiori si ribellarono, fatta eccezione per il Bucaneve. La neve, per premiare il piccolo fiore, gli concesse di sbocciare primo fra tutti proprio sbucando da essa».
Giani Stuparich: «I bucaneve nascono tra l’ultimo brivido dell’inverno e il primo bacio della primavera».
Mario Pazzaglia: «Il semplice, virgineo bucaneve ha il privilegio di annunciare la rinascita della vita e, in senso mistico, la Risurrezione».