a cura di don Ezio Del Favero

89 – Lo spaccapietre e la roccia

In un paese lontano viveva uno spaccapietre che lavorava tutto il giorno ai piedi di un’aspra montagna, ombreggiata di lentischi, pini e allori

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In un paese lontano viveva uno spaccapietre che lavorava tutto il giorno ai piedi di un’aspra montagna, ombreggiata di lentischi, pini e allori. All’alba, ogni giorno, l’uomo prendeva il suo piccone e colpiva la roccia lungo la strada che conduceva da Suse a Baghdad.

Una sera, con un mal di schiena tale che lo obbligava a piegare la spina dorsale e un’immane fatica sulle spalle, lo spaccapietre vide il padrone di una vigna vicina passare sulla strada, tornando a casa montato su di un mulo e seguito da un servitore che gli portava il bastone e la cintura. Posando il piccone, l’uomo sfinito pensò: «Il padrone della vigna è più potente di me!». Poi, con un sospiro, aggiunse: «Vorrei essere quell’uomo!».

Senza dubbio uno spirito sovrannaturale udì quelle parole, perché il povero spaccapietre si trovò improvvisamente a camminare sulla strada da Suse a Bagdad, montato su di un mulo e seguito da un servo che gli portava il bastone e la cintura. Una grande gioia riempì il suo cuore e, lasciandosi andare al dondolio della cavalcatura, pensò: «Sono felice ora! La vita è così bella!».

Qualche giorno dopo, mentre stava passeggiando per la città a cavallo del mulo, l’ex spaccapietre vide avvicinarsi la portantina dell’Emiro. Di fronte al principe, come il resto del popolo, l’uomo dovette fermarsi, scendere dalla cavalcatura e inchinarsi in segno di rispetto. Così, si disse con dispiacere: «Quest’uomo è più potente di me! Vorrei essere un Emiro!». Immediatamente si trovò sdraiato sul palanchino d’oro del principe circondato da una folla di servitori e splendide ragazze che lo sventagliavano con piume di pavone. Al suo passaggio tutti s’inchinavano. Il nuovo Emiro fu certo che nessuno lo superava e per questo percepì nel suo cuore una gioia enorme. Tuttavia, nonostante i drappeggi e i ventagli, l’ardore di mezzogiorno bruciava il suolo e il principe era tutto coperto di sudore. Spingendo da parte il tendaggio, fu abbagliato dalla luminosità del giorno, tale da fargli chiudere gli occhi. Allora disse con rabbia: «Questa luce è più potente di me! Vorrei essere il sole!».

L’Emiro fu trasportato sotto la volta del firmamento, diventando splendido e fiammeggiante sopra il mondo. Allora esclamò, pieno di orgoglio: «Finalmente sono al di sopra di tutto e di tutti!». Mentre pensava ciò, il vasto mare luccicava sotto i suoi piedi di fuoco, simile a uno specchio azzurro. Per tastare la sua immensa forza, il sole disse: «Prosciugherò il mare!». I suoi raggi ardenti si misero a sfrecciare sulle onde calme e azzurre. Ma a quel punto si alzò una nuvola, velando la terra dall’astro, cosicché gli sforzi del sole non riuscirono a perforare quella cortina che si addensava. L’astro ruggì, furioso: «La nuvola sarebbe più potente di me?». E come il lampo delle nuvole tuonò in cielo, il sole urlò: «Voglio essere nuvola!».

A quel punto, l’astro si sentì leggero, fluttuante, sollevato dallo zefiro, portando in sé il fulmine e il tuono. Si disse: «Io sono il temporale e la tempesta! Faccio ombra sul mio cammino e semino paura. Un fulmine sgorga dal mio petto, e tutto si piega sotto il vento della mia feroce corsa!». Mentre la nuvola pensava questo, scoppiò l’uragano, precipitandosi sotto bomba di pioggia sulla campagna che fu come spazzata; le foreste si trovarono a giacere come spighe di grano davanti alla falce; le acque frustarono la terra tremante mentre tutte le creature si nascondevano. Ma la nuvola si accorse che le rocce della montagna rimanevano impassibili e immobili e che tutta la violenza della tempesta non riusciva a piegarle, facendole rimanere tali e quali nonostante quella furia. Così urlò ai quattro venti: «La roccia è più potente di me!». Poi, tuonando, espresse il desiderio: «Vorrei essere roccia!».

E così la nuvola divenne roccia. Nella sua immutabile pesantezza, inerte e resistente, pensò di essere finalmente più solida di ogni solidità e di poter sostenere l’universo con la sua massa. L’idea la gonfiava di orgoglio. Ma a un certo punto un uomo si avvicinò e, con forti colpi di piccone, si mise a scalfire la roccia. Questa, sgretolandosi, urlò: «Questo essere è più potente di me!». Alla fine, mentre i colpi raddoppiavano, gemette: «Vorrei essere quest’uomo!».

Così, la roccia si trasformò in uno spaccapietre – con un mal di schiena tale che lo obbligava a piegare la spina dorsale e un’immane fatica sulle spalle – impegnato a lavorare tutto il giorno lungo la strada da Suse a Baghdad, ai piedi di un’aspra montagna, ombreggiata di lentischi, pini e allori…

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La parabola – di origine persiana – insegna a sapersi accontentare, precisando che lo spaccapietre alla fine divenne un grande saggio. Forse, tutto sommato, la situazione in cui viviamo non è poi così malvagia!