A cura di don Giorgio Aresi (5ª domenica di Quaresima - anno C)

Ecco, io faccio una cosa nuova

Quando comprendiamo davvero che l’unico sguardo che Dio ha su di noi è uno sguardo di amore e di verità

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E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa
in cui lento il tempo sciupavi quand’eri bambina,
in cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa
di cose incredibili e di caffellatte in cucina…

E la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati
persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi,
sembra quasi il racconto di tanti momenti passati
come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi…

Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro,
capirai che altra gente si è fatta le stesse domande,
che non c’è solo il dolce ad attenderti, ma molto d’amaro
e non è senza un prezzo salato diventare grande…

(F. Guccini, E un giorno, Stagioni 2000)

Le parole di Guccini, ci riportano a una verità che scuote e provoca lo scorrere dei nostri giorni. Quanto è difficile accettare il tempo che passa, l’impotenza di fronte all’inesorabile che muta il presente in passato, e accettare che il tempo cambi le cose, e che possa cambiare qualcosa della nostra vita, delle nostre relazioni e anche della nostra fede, del modo di vivere anche il cammino della fede.

Forse ci sentiamo come scrive il profeta Isaia nella prima lettura, come gli Egiziani: «Mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo» (Is 43,17). Ci sentiamo colpiti, feriti, caduti, sicuramente nei nostri orgogli e presunzioni. Ti fermi e ti accorgi che qualcosa ormai si è “consumato”, e quello che prima poteva essere una luce nella tua vita, ora il tempo ti dice che qualcosa si è spento, qualcosa in cui credevi ti ha forse illuso e disilluso. E allora non puoi fare altro che dire: mi fermo qui perché è giusto, e quasi ti arrendi. Eppure, quando ci troviamo a vivere questo, è qui che, quando umanamente non vuoi accettare ciò si “impone” nella tua vita, l’imprevedibile accade, per quanto difficilmente accetti e riconosci che dietro a tutto ci sia la mano di Dio.

Ed è ancora Isaia che ci dà questa verità difficile da capire e accettare: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19). Vale la pena – e quasi si impone al nostro vedere credente (il vedere con gli “occhi della fede”) – una domanda: e se la strada di Dio fosse diversa da quello che pensi e che vuoi tu? È vero, non vedi ancora (ora germoglia, dice Isaia) e non ci credi che anche nel deserto delle nostre vite ci può essere una strada che Dio ti chiede di percorrere, semplicemente perché è Lui che ti apre quella strada; e se non mi fido di Dio, di chi, più di Lui, posso fidarmi nella vita?

E se accettiamo questa fatica – quella che ci porta a dire: “non riesco a capire, ma mi fido di Dio – allora – come ci dicono le parole della seconda lettura, di san Paolo ai Filippesi – troviamo la verità delle cose, il vero valore, il vero peso e il senso di tutto ciò che fa parte della nostra vita. In fondo scopriamo che Dio ribalta e capovolge il nostro modo di vedere e di dare il peso alle cose. Ed è quello che accade a san Paolo, dopo l’incontro con Cristo risorto: Gesù gli capovolge il modo di vedere e di giudicare la realtà e le persone.

San Paolo ci testimonia in ogni istante, che l’incontro con Gesù Cristo ti fa capire cosa è giusto, vero e buono: «Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo» (Fil 3,8-9). Certo, come lo stesso san Paolo, «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (Fil 3,12). Ma la fiducia che Dio lavora per il bene nella mia vita, per ciò che è giusto, per ciò che è vero, insomma per la verità nella mia vita e della mia vita.

E allora, cosa accade? Il Vangelo ci dà la chiave per capire, e sono tre passaggi di ciò che accade nell’incontro di Gesù con quella donna posta sotto il giudizio degli scribi.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio» (Gv 8,3-4).

Quella donna è prima di tutto di fronte a se stessa, con il proprio peso. E di questo abbiamo bisogno anche noi: il coraggio di metterci di fronte a noi stessi, di metterci di fronte al Signore, perché sia solo Lui e nessun altro a guardare nel nostro cuore.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra (Gv 8,6-8).

La prima parola che Gesù pronuncia in quel momento, di fronte alle tante, forse troppe, parole degli Scribi, è una parola non per quella donna, che può anche avere sbagliato, ma è rivolta a chi le ha puntato il dito contro e che ha avuto la presunzione di giudicare e di credersi giusto. E questo vuol dire che prima di tutto forse ho bisogno io di guardare cosa ho nel cuore, anche perché di fronte a Dio chi può dire di trovarsi nel giusto?

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» (Gv 8,9-10)

E infine, come quella donna, anche noi, soli di fronte a noi stessi e allo sguardo di Dio – che è l’unico vero che sa vedere la verità di noi stessi, perché è lo sguardo di Cristo – solo quando comprendiamo e capiamo davvero che l’unico sguardo che Dio ha su di noi è uno sguardo di Amore e di Verità, allora capiamo che è così perché quello che Dio desidera nel suo amore, nell’amore donato in Cristo, è che ciascuno di noi, in fondo, trovi la verità di se stesso.