«Il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (1Tess 5,1-2): nella serata di sabato 28, in una Cattedrale semibuia, è risuonata questa parola iniziale, per ricordare – come ha poi commentato il vescovo Renato – che «il tempo della giustizia, della libertà, della pace è quel giorno. Il nostro tempo è il tempo della “conversione”, del cambiare la nostra vita, dell’assumere un cuore di carne rispetto a un cuore di pietra: è il tempo dove imparare l’amore».
A coronamento del mese di preghiera per la pace, iniziato il primo giorno dell’anno con la consueta marcia per le vie del capoluogo, numerosi sono stati i giovani – molti dei quali prossimi pellegrini alla Gmg – e anche gli altri fedeli provenienti da tutta la diocesi che si sono dati appuntamento nel duomo di san Martino per vivere insieme un’“Ora di preghiera per la pace”, appuntamento ormai tradizionale, da sempre organizzato dall’Azione cattolica l’ultimo sabato di gennaio. L’edizione di quest’anno ha avuto tuttavia la singolare caratteristica di essere frutto del lavoro congiunto con la Pastorale dei giovani e l’Ufficio Caritas. Un “insieme” quantomai fecondo e corale, non solo per la fattiva collaborazione e il risultato complessivo ma, prima di tutto, per il particolare senso ispiratore della frase che papa Francesco spesso ci propone e che ha guidato la preghiera di quest’anno: “nessuno può salvarsi da solo”!
Sono stati tre i tempi che hanno ritmato la veglia, scanditi da rispettivi passi del messaggio di questa 61ª Giornata mondiale. Innanzitutto la consapevolezza dell’insegnamento di questo tempo. Interrogandoci su quello che stiamo vivendo, a seguito alla pandemia e a causa della perdurante guerra in Europa, l’incisivo e apprezzato intervento della psicoterapeuta Francesca De Biasi ha aiutato a fissare alcuni fondamentali paletti che partono dalla sua stessa esperienza personale: non abbandonare mai la concretezza di ogni situazione; avere il coraggio di commuoversi; mantenere salda la capacità di aprire il cuore, nonostante tutto. Non sono allora per nulla casuali questi suggerimenti se illuminati dalla parola di Vangelo che è stata proclamata nella seconda parte; la pagina scelta è forse una delle più belle: la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37). Il vescovo Renato, nella sua riflessione, si è chiesto: «La preghiera può fermare la guerra? Certo. Noi ci crediamo. Con quale modalità? Non lo sappiamo, e nemmeno ci interessa. Continuiamo a fidarci di Dio». Tuttavia, di fronte al perdurante conflitto in Ucraina, come ogni altra guerra sottotraccia, è indispensabile acquisire la capacità di un “dialogo dialogico”, «un punto terzo che non corrisponde né alla posizione di partenza dell’una o dell’altra parte, né al punto medio, a ciò che sta a metà strada; un “oltre”, qualche cosa che si comincia a immaginare e che avvia un processo aperto che permette ai contendenti di uscire dal gioco perverso in cui si trovano incastrati» (M. Magatti). Una nuova strada dunque, da continuare a perseguire, in un atteggiamento di fiducia, nella fraternità.
Ed è il proposito su cui ciascuno dei partecipanti si è interrogato, nella parte conclusiva della veglia. Due i segni eloquenti: scrivere e consegnare su un unico cartellone una traccia di un nuovo cammino personale per rendere migliore questo mondo e la preghiera comune, il Padre nostro, suggestivamente cantata tenendosi stretti per mano.
Una corale preghiera dunque di affidamento al Dio della pace, perché, come il samaritano, ci sia il coraggio di fermarsi e cambiare strada, sapendo che la bellezza della vita è come un viaggio infinito in cui «bisogna lasciare a tutti un poco del nostro cuore,/ tanto si riforma,/ non c’è da temere di restare senza./ Bisogna essere clementi/ coi nostri errori/ se non vogliamo rifarli altrove» (Franco Armino, “Brevità dell’amore”).
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