Nelle foto: ADF, Libri gestorum, 1, foglio 79r (inizio dell’elenco del clero diocesano per il sinodo del 1585) e foglio 432v (inizio dell’elenco del clero diocesano per il sinodo del 1598)
Noterelle di metodo
Dopo l’interruzione ferragostana, riprendiamo la scoperta dell’Archivio Diocesano laddove l’avevamo lasciata, ossia dai registri di cancelleria: i registri sui quali venivano annotate le attività del vescovo, registrati per esteso oppure semplicemente regestati (riportati nelle parti essenziali) i documenti in arrivo alla cancelleria o in uscita dalla stessa.
Questa puntata non sarà dedicata alla presa di visione di un nuovo pezzo archivistico, ma a soffermarsi sulla lettura di un genere di documenti di particolare rilievo.
Dicevo, sia per i registri della cancelleria di Belluno che per quelli di Feltre, che sono particolarmente preziosi gli elenchi dei sacerdoti che si trovano in apertura degli atti dei sinodi diocesani. Questi elenchi, stesi dal cancelliere per registrare la presenza o assenza al sinodo degli ecclesiastici insigniti degli ordini maggiori (preti, diaconi e suddiaconi), cui erano tenuti a partecipare in forza degli ordini sacri ricevuti, sono particolarmente preziosi. Essi corrispondono alla sezione “presbiteri diocesani” che troviamo sul sito internet della nostra diocesi, vale a dire essi ci offrono nomi e incarichi di tutti i preti della diocesi in un determinato anno.
Nemmeno dai verbali delle visite pastorali potremmo ricavare un elenco così preciso dei nomi e quindi una conoscenza esatta della consistenza numerica del clero diocesano in un determinato anno e questo perché raramente avveniva che tutte le parrocchie della diocesi venissero visitate nello stesso anno.
Prendiamo in esame l’elenco del clero della diocesi di Feltre stilato per il primo sinodo del vescovo Rovellio, celebrato nel 1585, e quello stilato per l’ultimo sinodo dello stesso vescovo, celebrato nel 1598. Il nostro esercizio di lettura consisterà in questo: innanzitutto trarre il massimo di informazioni solo dai nudi elenchi e dal confronto tra i due. Ci eserciteremo in quello che il grandissimo storico francese Lucien Febvre (1878-1956) insegnava: lo storico come un’ape laboriosa deve elaborare il suo miele dai fiori che ha. Sentiamo le sue magistrali parole:
«La storia si fa con i documenti scritti, senza dubbio. Ma essa si può fare, si deve fare con tutto ciò che l’ingegnosità dello storico può permettergli di utilizzare per confezionare il suo miele in mancanza dei fiori abituali. Dunque con delle parole, dei segni, dei paesaggi e dei cocci, delle forme dei campi e delle erbe cattive».
Nello spremere tutto il nettare che ci sarà possibile da questi aridi fiori (delle liste di nomi) ci coglierà il desiderio di sapere di più, cioè si affacceranno alla nostra mente delle domande. Io mi limiterò ad elencare queste domande e a lasciarle senza risposta; non voglio barare al gioco e il gioco consiste quello di restare ai soli elenchi.
Le domande ci stimolano a ricavare il massimo di informazione da questi fiori (documenti), ma ci spingono alla ricerca di altri. E così posso illustrarvi un secondo dato: sì è vero che la storia si fa con i documenti, ma con i documenti opportunamente interrogati; perciò se è vero quel che diceva un maestro di metodo storico, Charles Seignobos (1854-1942): «la storia si fa con i documenti…» è ancora più vero: «la storia si fa con le domande». Seignobos diceva: “niente documenti, niente storia» ed Emmanuel Le Roy Ladurie (1929, vivente): «niente domande, niente storia» (pas de questions, pas d’histoire; ricordo che Le Roy Ladurie è stato un pioniere della storia del clima, disciplina che aiuta a sorridere davanti al catastrofismo climatico odierno).
Lo storico è un po’ come il profeta Ezechiele, al quale la voce divina dice: «profetizza su queste ossa aride e fa entrare in esse uno spirito di vita». I documenti non sono che muti testimoni, sta a chi li legge farli parlare, evocare da essi il palpito di persone vissute molto prima di noi, far risorgere mentalmente l’ambiente in cui queste persone sono vissute.
Note sul clero della diocesi di Feltre alla fine del Cinquecento
Partiamo dunque dall’elenco per il sinodo del 1585. Tralasciando i diaconi e i suddiaconi, i sacerdoti della diocesi di Feltre nel 1585 erano 96. E immediatamente sorge una domanda: erano tanti, erano pochi? Questo lo si può determinare in primo luogo in relazione al numero degli abitanti della diocesi in quel momento: quanti erano i fedeli? Ma non basta. Sbaglieremo infatti a parlare di abbondanza o scarsità di preti nel Cinquecento solo comparando il rapporto numero di fedeli per prete di allora con il rapporto prete/fedeli dei nostri giorni. Infatti bisogna far riferimento ad un secondo parametro: gli obblighi pastorali e celebrativi allora attesi e richiesti dai fedeli. Appunto: quali erano alla fine del Cinquecento? Un prete ogni 500 abitanti può essere poco in una società mossa da profondi ed intensi bisogni religiosi, mentre uno ogni 3.000 può essere in abbondanza in una società profondamente secolarizzata.
Vi faccio notare che le domande che si affacciano alla nostra mente già ci spingono a ricercare in altri filoni della nostra miniera che è l’Archivio.
Di questi 96 sacerdoti al sinodo ne furono assenti 18: ben otto di essi appartenenti al clero della cattedrale (vengo in difesa dei canonici: di questi non partecipò soltanto uno), dalle parrocchie del feltrino nessun assente; gli altri dieci preti assenti appartenevano alle parrocchie della parte imperiale della diocesi. Da notare che i parroci furono tutti presenti, da Santa Giustina a Pergine.
Ma quanti erano i parroci e quindi le parrocchie? L’elenco infatti distingue i sacerdoti, nominandoli sotto il nome della parrocchia di appartenenza. Ricordando che parte della diocesi era soggetta alla Repubblica Veneta, mentre tre quarti del territorio appartenevano all’Impero, distinguiamo come segue le parrocchie.
Nel territorio veneto. Le due parrocchie cittadine di San Luca e di San Marco, della quale il titolare era anche canonico. Quindi, partendo da oriente verso occidente: le pievi di Santa Giustina e Cesiomaggiore, le parrocchie di Villabruna, Vignui, Zermen, San Vittore, Pedavena e Rasai, le pievi di Servo e di Lamon e la parrocchia di Primolano. Quindi 13 parrocchie.
Nel territorio imperiale, tra pievi di antica istituzione e parrocchie più recenti: Primiero, Pieve di Tesino, Grigno, Strigno, Castelnuovo, Telve, Borgo Valsugana, Roncegno, Levico, Calceranica, Lavarone, Vigolo e Pergine, Quindi 13 parrocchie. E, ripeto, i 26 parroci c’erano tutti.
Una prima distinzione da fare tra questi sacerdoti è la seguente: tra essi vi sono sei religiosi e quindi i sacerdoti secolari scendono a 90. Tra questi sei religiosi due svolgono un compito in forma istituzionale, legati cioè ad una comunità: il fiesolano Serafino Armani, parroco di San Vittore, chiesa affidata ad una comunità di monaci fiesolani; l’agostiniano Agostino Doria, che officiava la chiesa di san Vito (attualmente sant’Anna) di Foen, nella parrocchia di Vignui, appartenenva al convento cittadino di Ognissanti
Gli altri quattro religiosi erano presenti in diocesi, vivendo fuori dal convento. Tre di loro erano collaboratori di un parroco: due erano domenicani, uno cappellano a Pieve di Tesino, Serafino de Gripolis, e l’altro nella vicina pieve di Strigno, Filippo Cibo; il terzo era un francescano conventuale, Marco Antonio Pesenti, cappellano nella popolosissima pieve di Pergine. Erano stati i parroci a chiedere a questi frati di fermarsi nelle loro parrocchie come rinforzo per i compiti pastorali? Questi frati erano giunti nelle parrocchie per predicare la quaresima? Oppure erano fuori del convento perché mal sopportavano la vita subordinata di comunità? Il quarto religioso era addirittura a capo di una parrocchia: l’agostiniano Giovanni da Siena, rettore della pieve di Grigno. Da notare che questi frati fuori di convento a servire nelle parrocchie erano concentrati in quel momento in Valsugana.
Quindi i sacerdoti secolari nella diocesi di Feltre nel 1585 erano 90. Un dato degno di riflessione è notare che sui 90 sacerdoti secolari della diocesi, ben 41 erano nella città di Feltre. Quindi quasi la metà del clero era nel centro della diocesi, mentre metà era a servizio nelle parrocchie.
Dei 41 preti di Feltre, 31 erano in servizio nella cattedrale: dodici canonici, il sacrista (parroco) di san Luca, il precentore (che organizzava la liturgia corale), otto mansionari e nove altaristi.
Corrisponde al vero che i canonici provenivano solamente dalle famiglie della nobiltà? Vediamo in verità cognomi come Persenda, Liali, Rizzardi, che non figurano tra la nobiltà cittadina. Troviamo anche due cognomi non feltrini: Mastorcio e Bissoni. Il primo è presente al sinodo al che significa che osservava la residenza. Il secondo risulta assente: perché? Ed ecco allora subito un’altra domanda: siamo a vent’anni dalla fine del concilio di Trento che aveva stabilito l’obbligo di residenza per vescovi e parroci, ma tra questi beneficiati ve ne erano di non residenti? Tra l’organico di ruolo e l’organico effettivo vi era discrepanza?
A questi 31 sacerdoti legati alla cattedrale ne vanno aggiunti quattro titolari di altri benefici, primo dei quali Giovanni Battista Angeli, vicario generale. E altri sei che vivevano in città senza esser titolari di alcun beneficio ecclesiastico. Di cosa vivevano questi? Come facevano a mettere il pane in tavola a mezzogiorno? Solo con la celebrazione di suffragi? Vivevano magari nella famiglia di origine?
Nelle altre parrocchie del territorio veneto troviamo 13 sacerdoti diocesani. Due (parroco e cappellano) in ciascuna delle quattro pievi, quindi otto sacerdoti; un sacerdote (il parroco) a Villabruna, Vignui, Pedavena, Rasai e Primolano. A san Vittore il parroco era un religioso e a Zermen non c’era in quanto il titolare della parrocchia era di diritto il decano del Capitolo.
Quindi nel territorio veneto della diocesi si trovavano 54 dei 90 preti secolari: ben più della metà.
Gli altri 36 sacerdoti erano in servizio nelle 13 parrocchie del territorio imperiale. Le parrocchie servite dal maggior numero di sacerdoti erano le pievi di Strigno e di Pergine: entrambe con sei sacerdoti. A Strigno oltre al pievano e al cappellano, vi erano i cappellani per le quattro principali frazioni: Scurelle, Bieno, Samone e Ospedaletto. A Pergine invece, i cinque sacerdoti che si aggiungevano al pievano erano in servizio nel centro della pieve. Nella parrocchia di Telve vi sono cinque preti: parroco, cappellano, il cappellano di Telve superiore e ben due altaristi per la chiesa parrocchiale, il cui compito si riduceva alla celebrazione di Messe di suffragio legate al percepire un’entrata economica stabile.
Si può dire che due terzi delle parrocchie del territorio imperiale sono servite da più sacerdoti, dal momento che sono cinque su tredici quelle con un solo sacerdote: Grigno, Castelnuovo, Roncegno, Calceranica e Lavarone. Quale il numero di abitanti di queste parrocchie rispetto alle altre? E domanda di non secondo ordine: quali gli introiti di questi benefici parrocchiali se raffrontati a quelli delle altre parrocchie nelle quali il parroco può assumere e stipendiare un cappellano?
Ma tornando ai sacerdoti: quanti di questi sacerdoti appartenevano alla diocesi feltrina per nascita e per ordinazione sacerdotale? Quanti erano i sacerdoti provenienti da altre diocesi? E da quali diocesi? È possibile sapere per quale motivo sono giunti in diocesi di Feltre? E per i sacerdoti nativi della diocesi c’era mobilità all’interno di essa? Oppure i preti restavano legati al paese di nascita o si muovevano in un raggio ridotto da esso? Si trovano sacerdoti della Valsugana nel Feltrino e sacerdoti del Feltrino nella Valsugana?
Altra domanda: quanti dei 26 parroci erano stati nominati al loro incarico dal vescovo? Per noi che viviamo nel XXI secolo è la cosa più scontata del mondo che i parroci li nomina il vescovo: allora non era così. All’epoca si poteva diventare parroci per giuspatronato nobiliare, per giuspatronato popolare, per nomina papale. Quanti quindi i parroci effettivamente scelti dal vescovo?
L’elenco stilato dal cancelliere segnala anche i gradi accademici di qualche prete: tre in tutto, tutti tre col grado di dottori in utroque iure, cioè sia in diritto canonico che in diritto civile. Si tratta delle due dignità del Capitolo: il decano Antonio Argenta e l’arcidiacono Vittore Tonello; il terzo è Lorenzo Nicati, parroco di Levico. Gli altri preti che percorsi formativi affrontarono per giungere al sacerdozio? La domanda è tanto di maggiore interesse in quanto a Feltre non vi era ancora il Seminario (a poco più di vent’anni dalla chiusura del Concilio di Trento!).
Ancora poche battute circa l’interessante comparazione tra questo elenco e quello del 1598. A tredici anni di distanza il clero è aumentato di tre unità: ora i sacerdoti della diocesi sono 99, dei quali solamente tre religiosi, con incarichi di cura d’anime. I sacerdoti secolari della diocesi ora sono 96: sei in più rispetto al 1585.
Sono aumentate anche le parrocchie. Alle 26 del 1585 se ne sono aggiunte due, entrambe nel territorio imperiale: Torcegno (da Telve) e Canal San Bovo (da Primiero). Ha conosciuto una lieve flessione il numero dei preti del territorio veneto passati dai 54 del 1585 ai 51 del 1598. Ha conosciuto invece un buon incremento il clero del territorio imperiale aumentato di nove unità passando dai 36 del 1585 ai 45 del 1598. Alcune parrocchie avevano conosciuto dei notevoli incrementi: Strigno era passata da sei a nove preti, Roncegno da uno a tre. Più modesti gli incrementi a Borgo Valsugana passata da tre a quattro preti e a Calceranica passata da uno a due. Vi era stato un decremento a Vigolo dove i sacerdoti presenti erano scesi da tre a uno. A Primolano infine la parrocchia era vacante.
Ma un dato di grande interesse suscita degli interrogativi ineludibili: se noi confrontiamo i due elenchi di sacerdoti notiamo a che dei 90 sacerdoti del 1585 a soli 13 anni di distanza se ne trovano solo 33. Insomma sui 96 sacerdoti del 1598 solo un terzo era presente in diocesi poco più di 10 anni prima; detto in altri termini: nel breve arco di 13 anni il clero diocesano si era rinnovato per due terzi. Tra i 26 parroci del 1585 solamente sei erano ancora al loro posto tredici anni dopo: Donato Menardini a Santa Giustina, Giovanni Vezzio a Cesiomaggiore, Giovanni Battista Ballarino a Pieve di Tesino, Leonardo Visintainer a Strigno, Lorenzo Nicati a Levico e Dietrich Minati a Castelnuovo.
A cosa erano dovuti questi rapidi avvicendamenti: alla morte? alla facile mobilità del clero? Dove le riserve di questi facili rincalzi? Quanti preti nativi della diocesi venivano ordinati ogni anno? quanti coloro che provenivano da altre diocesi?
A queste domande circa il nostro clero diocesano, anche del Seicento e Settecento, tenterò di offrire delle risposte con una serie di articoli che farò comparire, al ciel piacendo, a partire dalla fine dell’anno.