Questa domenica e questa solennità risente molto dei ricordi personali di ciascuno, ognuno porta nel cuore qualche ricordo, gesto o segno che rende molto familiare questa festa. Possono essere lo spargere i fiori fatto da bambini, i preparativi sulle finestre di casa per il passaggio della processione, portare il baldacchino o lo stendardo, ognuno ha il suo; ma tutto questo nasce e sviluppa per dare onore e rendere presente nella nostra vita il passaggio di Gesù Cristo. Il desiderio di portare ad altri l’annuncio cristiano che scalda e anima la nostra vita si innesta sulla parola del Signore che ci ha lasciato nell’ultima cena. «Prendete, questo è il mio corpo».
Ecco la parola iniziale di questa festa: è un dono che il Maestro fa ai suoi discepoli quella sera dell’ultima cena e che non riesce a rimanere confinato, supera gli ostacoli e le barriere dello spazio e del tempo, è per molti, non per pochi. Il Signore Gesù che dona il suo corpo diventa per noi lo stimolo ad imitarlo, nel darci questo insegnamento mette in luce anche lo stile che possiamo utilizzare noi, cioè, donarci agli altri sul suo esempio. Il verbo prendere dice la delicatezza con cui si presenta, è un’offerta genuina e volontaria, senza violenza o costrizione, ma che arriva alle nostre orecchie e alle nostre mani – nella forma del pane eucaristico – proprio per renderci partecipi di questo suo modo di fare. Ogni volta che ne prendiamo la nostra vita viene trasformata, non possiamo restare indifferenti davanti a questo dono; è il suo dono che trasforma la nostra vita.
Prendo spunto da un canto che molto probabilmente varrà eseguito in questa celebrazione:
Ti porteremo ai nostri fratelli
Ti porteremo lungo le strade.
Chi lo cantava sessant’anni fa vedeva una lunga processione snodarsi per le vie del suo paese composta da tutti i membri della comunità che insieme accompagnavano la presenza del Signore nell’Eucaristia dentro i luoghi della vita ordinaria: era sotto gli occhi di tutti che lo si portava a tutti i fratelli, c’era la forza dell’intera comunità che sosteneva questo gesto – anche esteriore e visibile – del portarlo a tutti i fratelli e lungo le strade. Oggi c’è una consapevolezza diversa e le strade sono un po’ cambiate, i numeri sono ridotti o quantomeno diversi, eppure quelle parole sono vere «ti porteremo ai nostri fratelli», quelli del nostro tempo, quelli che oggi ci guardano dalla sedia del bar e forse non riescono a capire cosa succede (penso all’esperienza personale della processione fatta per vie del centro di Trento alle 20 del giovedì), magari subiamo quegli sguardi con imbarazzo…ma c’è qualcosa di più del gesto esteriore, altrimenti siamo sostenitori di una carnevalata.
Prima di portarlo lungo le strade, lo abbiamo ricevuto durante la celebrazione eucaristica, è entrato in noi ed è parte di noi, ci viene dato come “Corpo di Cristo” ed entra nel nostro corpo, diventa un tutt’uno con noi, non si possono più separare.
Noi diventiamo dei tabernacoli viventi, siamo dei vasi riempiti di grazia e questo traspare anche all’esterno. Attraverso i fratelli alla fine della celebrazione abbiamo una vasta gamma di espressioni del volto di Dio e di corpi che lo rendono presente. Poter pensare che la persona seduta vicino a me sia diventata un tabernacolo vivente dovrebbe darci le giuste proporzioni del modo in cui relazionarci tra di noi, se solo pensiamo alla devozione e alla gestualità che riserviamo al Tabernacolo della custodia eucaristica.