Giovedì 1° giugno

Una storia che affascina

Il pellegrinaggio alla basilica di Sant’Antonio in Padova nel racconto di don Ivone, parroco di Lamon

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Quando mi era arrivato l’avviso dalla Diocesi, lo avevo lasciato in attesa: mi sembrava un’azione limitata alla città di Belluno. Un pellegrinaggio alla Basilica del Santo? Ci sono già stato così tante volte al Santo, che non ho dato attenzione più di tanto. Sono già preso dalla conclusione dell’anno pastorale, che non ho proprio voglia di pensare ad uscite verso Padova.

Poi, dopo vari giorni, il mio vicino, il buon don Fabrizio, mi chiede: «come sei messo per il Santo?». Apriti cielo! Il Santo! «Dobbiamo andare!», mi dice con tono fraterno e fermo il don. Guardo data, agenda, ricordi, tanti ricordi. E decido di organizzare, pur in ritardo. Ricordi degli anni di Seminario, quando entravo al Santo per momenti di preghiera personale: mi trovavo bene. Ricordi degli anni recenti: quando potevo, ritornavo al Santo per presentargli alcuni amici sofferenti e chiedevo la sua intercessione efficace presso Dio.

E così il giorno 1° giugno riusciamo a partire in dieci fedeli da Lamon, unendoci ad altri fedeli di tutta la diocesi: in tutto siamo circa trecentoventi. Guidati dal vescovo Renato e da vari sacerdoti, una ventina, partecipiamo al Pellegrinaggio diocesano alla Basilica del Santo, a Padova. Il viaggio non è difficile, la giornata è mite, troviamo un buon sole che ci accompagna.

Arriviamo in perfetto orario e molti fedeli si avvicinano alla cappella delle Confessioni. Io mi fermo nel chiostro ad ammirare il grande albero di magnolia. Mi ha sempre impressionato per le sue dimensioni, alto più di 25 metri, e per il profumo intenso e gradevole dei suoi fiori. Anche da ragazzo, prima di entrare in Basilica, prima passavo per il chiostro a contemplare questo monumento di storia e religiosità: è imponente, di struttura conica. Chissà quanti frati, quanti fedeli, nei secoli, sono passati attorno a questo grande albero sempreverde e spettacolare.

Poi entro nella chiesa. I fedeli si sono sparsi nei vari spazi accoglienti di questa che è una delle basiliche più belle e importanti di tutta la Chiesa. E sempre, tutte le volte, sempre mi capita di dover fermarmi per girare lo sguardo verso il primo altare, a sinistra. E rimango fermo: bloccato dal rosso vivo del quadro, che ricorda il martirio di Massimiliano Kolbe. Non posso non fermarmi davanti a questo altare. E penso ai nuovi martiri della fede della terra accanto alla terra di padre Kolbe. Anzi: sono terre sorelle quelle della Polonia e dell’Ucraina.

La statua di sant’Antonio è già preparata nel suo spazio accanto ai fedeli: ieri è già iniziata la famosa “tredicina”. E anche questa devozione mi ha sempre fatto pensare a favore del Santo: per altri santi della chiesa cattolica, a volte si compiono preghiere devozionali legate ad un numero di giorni più piccolo: c’è il settenario per qualcuno, una novena per qualcun altro più importante. Sant’Antonio li batte tutti: tredici giorni di preghiere onorano in nostro Santo. Chissà in Paradiso come si divertono a guardare noi che facciamo questi calcoli. Ma tant’è! È così e basta: qui, sulla terra, il Santo li batte tutti!

Avanzo nella chiesa e, come la maggioranza dei pellegrini, continuo verso la tomba del Santo. Un gesto vissuto in profondo silenzio che ci spinge a toccare quella pietra scura che contiene le spoglie del Santo. Due genitori sono in preghiera, tengono i due loro bambini in braccio, e i piccoli ripetono il gesto compiuto dai genitori toccando anche loro, piccolini e sorridenti, quella pietra tombale che parla di vita e affidamento al Signore dei nostri cari. È proprio vero che i bambini ci illuminano nella loro spontaneità: il più piccolo, avrà poco più di un anno, non si limita ad appoggiare la mano, come fanno gli altri, ma picchia ripetutamente sulla pietra con la sua manina. Come a dire, con forza: “fai qualcosa per me, per la mia famiglia, per chi ti chiede aiuto!”.

La Cappella dell’Arca è una splendida opera del Rinascimento, con nove importanti rilievi marmorei posti attorno all’Arca e che riproducono varie scene della vita e dei miracoli del Santo. Ma quasi nessuno guarda con attenzione quei marmi finemente lavorati: siamo tutti attratti da quella pietra scura e dal desiderio di toccarla. Non ho mai visto azioni di fanatismo religioso di chi deve toccare per sentirsi meglio nel suo animo. Ho sempre incontrato gesti di preghiera, come se toccare quella pietra fosse un modo più manifesto di affidare le nostre intenzioni alla potente intercessione di Antonio da Padova.

Già, da Padova! Ho studiato la lingua portoghese a Lisbona prima di andare in missione, e ricordo bene come, in quei mesi, potevo dire che io ero nato a Padova, ma mai dire ad un “lisboeta” che Antonio è da Padova! Vietato! Avrei rischiato grosso con una provocazione simile, perché Antonio è da Lisbona, ed è pure vero!

Immagino le altre risate in Paradiso tra i santi che sono vicini ad Antonio e che lo prendono in giro affermando di non capire da quale città lui sia! Che volete: in Paradiso sono felici e ridono di noi che ci “tiriamo” il Santo a nostro piacere!

Dopo l’Arca siamo immersi in un vortice di arte e di storia, di pitture incantevoli e di artisti che tutto il mondo ci invidia. Non vi faccio l’elenco di affreschi che fin dal secolo XIII rendono questo luogo unico. Ma tutto parla di Antonio. Tutto parla della sua grandezza. Di questo piccolo frate che ama Dio e la Chiesa con tutto se stesso.

Inizia la preghiera comunitaria. Alla tredicina sono particolarmente colpito dalla quarta stazione, dove il testo afferma che il Signore ha reso sant’Antonio un infaticabile predicatore del Vangelo sulle strade degli uomini, e si chiede di proteggere i profughi, gli emigrati, i deboli. Antonio è stato più volte un emigrato. Arrivato a Padova da immigrato. E il pensiero corre, inevitabile, ai nuovi immigrati nelle nostre terre, che stanno per essere consegnati anche ai vari Comuni del bellunese perché trovino accoglienza e solidarietà. Che sant’Antonio ci illumini e ci aiuti ad accogliere il fratello immigrato. E che aiuti questi poveri dei nostri tempi, costretti a lasciare la loro terra in cerca di un rifugio.

La S. Messa è presieduta dal nostro vescovo Renato Marangoni. Una bella presenza di sacerdoti si unisce alla celebrazione e i fedeli seguono con attenzione. Il vescovo ci aiuta nell’omelia chiedendoci di «toccare i doni di Antonio» e proseguire nell’opera di «correggere e convertire i nostri pensieri secondo il Vangelo». Come ha fatto Antonio.

La celebrazione è solenne: l’organo della basilica ci accompagna con forti note alla lode verso il Signore. Ma tutta la grandezza di questo luogo, tutti i suoni e le pitture, mi sembrano come un risaltare che il Signore ha fatto cose grandi per il piccolo Antonio. Quando predicava, se non lo ascoltavano gli uomini, lo ascoltavano gli animali. Che storie!!!

Quando usciamo dalla basilica siamo tutti pieni di gioia. Perché abbiamo pregato bene. E perché siamo stati assieme bene. Ma proprio bene.

Cari amici, che avete avuto la pazienza di leggere fino in fondo… il prossimo anno, se il Signore vuole, ci ritroviamo ancor più numerosi. E vi assicuro che organizzerò al meglio il prossimo pellegrinaggio al Santo.

Che storie!!!

don Ivone Cavraro
parroco di Lamon